Un derby all'improvviso. Si rivede la Juve di Allegri e il Porto non lascia scampo: nessuna alternativa alla vittoria. Buffon e il Pallone D'Oro: ingiustizia nel 2006, si può ancora rimediare

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Titolo di avvocato e dottorato di ricerca nel cassetto per scrivere di calcio, su TuttoMercatoWeb.com
13.12.2016 01:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Un derby all'improvviso. Si rivede la Juve di Allegri e il Porto non lascia scampo: nessuna alternativa alla vittoria. Buffon e il Pallone D'Oro: ingiustizia nel 2006, si può ancora rimediare

Succede che c'è un derby, di domenica alle 15. Una sfida che la storia recente direbbe neanche troppo complicata, ma ha sempre il suo fascino. E porta con sé la sua buona dose di tensione. Succede che di fronte c'è un Torino sempre più convincente, per gioco e risultati. Succede che la Juventus viene da un periodo un po' così, più per quanto riguarda il primo che i secondi. Succede che Andrea Belotti, il miglior centravanti italiano dai tempi di Luca Toni (non saranno lontanissimi, ma sembra due ere geologiche fa) sblocca la gara. Un po' di dubbi ci possono essere. Succede però anche che a un certo punto Gonzalo Higuain dice basta. Mi chiamate ciccione? Io vi faccio una doppietta e state zitti tutti. Facile facile, almeno per lui, il primo, propiziato da quel calciatore immenso che risponde al nome di Mario Mandzukic. Clamoroso il secondo, anche se la marcatura di Barreca è quanto di più morbido si possa immaginare. Però il Pipita stoppa un lancio lungo a casaccio, si gira e fulmina Hart. Una perla dal nulla: è questa la differenza tra i giocatori normali e i fuoriclasse. Nel giorno più splendente, nella notte più profonda: il campione la risolve come vuole, quando vuole. Una doppietta nel derby vale 90 milioni di euro? No, però quei due gol sono una parte dell'ammortamento più godereccio del mondo. 

Il resto è una partita che scivola via, tra errori di Mihajlovic e la Juve di Allegri che s'inizia finalmente a (ri)vedere. Il serbo ha provato a vincerla con il triplice cambio e l'ha persa. Ha sbagliato, ma ha avuto coraggio e merita l'onore delle armi. Il livornese, invece, sta plasmando piano piano la sua nuova creatura. Con inciampi e tonfi, con un percorso progressivo che per forza di cose non può essere immediato. Questa squadra non è perfetta, continua ad avere le sue belle lacune, inciamperà ancora. Però discutere il lavoro di Allegri, lo abbiamo già detto, è sempre stato prematuro e pure sbagliato. Lavora con quel che ha: non è tutto, non è neanche niente. Ha in mente una squadra versatile ma con determinate caratteristiche. Deve arrivarci, siamo a dicembre. A che punto siamo? 

È questa la vera domanda. Con una premessa: la Juve non può prescindere, al momento, da Paulo Dybala. La doppietta di Higuain non è estemporanea, se condiseriamo il suo ruolo in questa Juve: è costato 90 milioni, è stato pagato tanto perché fosse decisivo. Però è stata estemporanea rispetto all'andamento della partita: apertissima, fino a un certo punto. Quello in cui è entrato l'altro argentino e ha chiuso i giochi. Il gol del 3-1, oltre a quella ovvia di Pjanic, porta la firma indelebile di Dybala. Va recuperato con assoluta calma, ma il numero 21 è, lo si è detto più volte, l'unica miccia per accendere l'esplosività dei bianconeri. Almeno per ora. Detto questo, la Vecchia Signora si avvia verso una sua nuova identità. Fatta di pedine imprescindibili, come Claudio Marchisio. Ma anche di equilibrio: non sorprenda la scelta di puntare su Stefano Sturaro dal primo minuto. Non avrà i piedi di Pjanic, ma a centrocampo servono anche agonismo e fase difensiva. Anzi, soprattutto. È una Juve che vuole far circolare palla e ha le capacità per dominare ogni avversario, almeno in Europa. Vincere attraverso la prestazione è il sogno, l'obiettivo, di qualsiasi allenatore, ma non è affatto facile. Questa squadra ci sta arrivando piano piano. Magari qualche correttivo a gennaio sarebbe appropriato, però non serve tornare ogni volta su sentieri sin troppo battuti. 

Da battere, al momento, vi è anzitutto la Roma. Da agosto in poi il quesito sul campionato è stato quello relativo all'anti-Juve. Rosa alla mano, sarebbe l'Inter, che sulla carta ha una squadra pazzesca. Peccato che di pazzesco vi sia solo l'andamento ondivago dei nerazzurri, nella stagione e nella partita. Il Milan giocherà un ruolo cruciale nella lotta per l'accesso alla Champions League, ma per lo Scudetto sembra avere qualcosa in meno. Chapeaux a Montella, intelligente nel curare quel che nessuno aveva pensato di curare: la fase difensiva, vera arma in più di questi rossoneri. Che però cedono il passo a quella che forse è la vera avversaria dei bianconeri. La Roma è al momento la vera e più credibile pretendente al titolo senza il bianconero sulla maglia. Ha recuperato solidità difensiva, ha qualità e quantità a centrocampo, ha ritrovato la verve di un grande attaccante come Edin Dzeko. Non gioca il calcio del Napoli, sia pure. Ma nessuno gioca il calcio del Napoli. Qui si fanno le lodi e si analizzano le miserie di casa Juventus, però dei partenopei è impossibile non parlare. A livello estetico sono i più belli d'Italia, per distacco. Alcuni passaggi della partita col Cagliari sono da prendere e far studiare. All'Accademia delle Belle Arti, mica a Coverciano. Maurizio Sarri ha costruito il più bel giocattolo calcistico visto in Serie A dai tempi di Sacchi, senza grossi dubbi. Rispetto alla Roma, però, hanno meno continuità. La grande bellezza sì, però a rischio evanescenza. La Roma sarà più continua, avrà meno mazzate psicologiche dall'Europa perché andrà avanti nella (meno prestigiosa) competizione, sarà prima di tutto da battere nell'imminente scontro diretto.

Ci siamo arrivati. Parliamo di Champions League e di Porto. Ai tifosi bianconeri di vendicare la suddetta Roma fregherà più o meno quanto a Rovazzi, però per il calcio italiano può essere una bella occasione di dimostrare che non siamo solo quella roba vista ad agosto, qualsiasi cosa essa fosse. Sorteggio facile, dicono i gufi e anche gli obiettivi. Perché sorteggio facile e fortunato è stato. La fortuna, però, ce la si costruisce e poi la si deve titolare. Il primo posto nel girone, a conti fatti, è stato utile. A conti fatti, in entrambe le urne vi erano 3/4 squadre molto ostiche. L'unica davvero ingiocabile, però, era il Barcellona ed era dalla parte giusta. Le seconde "deboli" erano però meno pericolose delle colleghe prime, il Porto forse era la miglior pesca in assoluto. Premiato il girone, ora bisogna chiudere il prima possibile la pratica. Arrivare ai quarti poteva essere un primo traguardo in caso di accoppiamento infausto, adesso diventa più o meno un obbligo. I lusitani non sono gli ultimi arrivati, hanno qualche bel giocatore (André Silva su tutti, magari osservato speciale anche in ottica mercato), però non sono un pericolo. In Europa giocano con un 4-3-1-2, in casa tendono al 4-2-3-1 e sono secondi alle spalle del Benfica. hanno tecnica e rapidità nelle ripartenze, ma non sono una corazzata. Diciamo la verità e tanto basti. 

Chiusura su Gianluigi Buffon. Immenso, anche con quei baffi improponibili. Il nono posto nella classifica del Pallone d'Oro rende più giustizia al premio che a lui. Più grande di un soprammobile dorato che gli si è negato. Il portiere più forte degli ultimi 30/40 anni (cioè di quel lasso di tempo che in tutta onestà siamo più o meno in grado di valutare) avrebbe meritato il titolo di miglior calciatore al mondo. Nel 2006. E lì fu ingiustizia vera: forte fortissimo Cannavaro, per carità. Però senza Serie B lo avrebbe vinto Buffon. Nel 2016 la sua presenza tra i primi dieci certifica il suo status sempiterno di miglior numero uno del globo terracqueo. Ma è così da vent'anni a questa parte. Vincere il Pallone d'Oro, nell'era discutibile di Messi e Cristiano Ronaldo, ormai, è una pia utopia. A meno che non succeda qualcosa di impensabile. C'entrano le grandi orecchie, ma non andiamo oltre.