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L'IMBOSCATA - Dall'indagine su Gravina alle inchieste-lumaca delle "altre": faro sull'operato di Chinè. Stanno impallinando Elkann, luce ambigua sulla Juve. Calcio malato: sintomi, diagnosi e cause. Sorteggio Mondiale, le migliori del pianeta?

di Andrea Bosco

di Andrea Bosco

Le menzogne sono sempre letali. Spiegava Pierre Corneille nell'emblematico “Il bugiardo” che “Dopo aver mentito, occorre una buona memoria”. Quasi sempre chi non ne ha, va in confusione. La fiaba attribuita ad Esopo sul pastorello che per burlarsi dei suoi vicini era solito gridare “al lupo, al lupo” ridendosela protetto dal bosco periferico al suo gregge quando i vicini accorrevano, viene insegnata a scuola fin dalle elementari. Venne infine il giorno nel quale sulla collina sovrastante il gregge arrivò un famelico lupo. Il pastorello gridò con tutto il fiato che aveva in gola ma nessuno accorse in suo aiuto. Il gregge venne sbranato e il piccolo pastore riuscì a salvarsi per il rotto della cuffia.

Morale: chi mente tradisce la buona fede del prossimo e alla fine non può che ricavarne danni. Nel calcio le menzogne sono una abitudine. Basti pensare alle “bufale” veicolate dai media che si occupano di calciomercato. Per anni nel calcio italiano si è gridato “al lupo”. Esagerando. Oggi il lupo è arrivato: spietato. Oggi il calcio italiano paga le mancate riforme. Paga una giustizia sportiva iniqua e a corrente alternata a seconda delle convenienze di bottega. Paga bilanci taroccati da parte delle società. Paga regolamenti scadenti e surreali, imposti dall'alto, forieri di clamorose ingiustizie. Paga un depauperamento della qualità media a livello di giocatori. Paga la barbara consuetudine di aver smantellato i vivai costringendo la Nazionale in un rettangolo sempre più angusto. Paga l'avidità di agenti, dirigenti, procuratori sempre alla ricerca del “colpo gobbo”, magari scovato in quale landa sconosciuta del pianeta in grado di aggiustargli i bilanci. Paga una mancata programmazione: una visione a lungo termine dell'azienda calcio, pur sempre una delle più importanti, in un paese depredato dalla concorrenza e sfibrato dalla globalizzazione. Si è gridato “al lupo” quando non era necessario farlo. Oggi il lupo è arrivato e ha preso il calcio italiano alla giugulare.

870 episodi di violenza in due anni nei confronti degli arbitri, ha denunciato l'Aia. Che ha detto “basta” (avrebbe, condizionale d'obbligo) “cominciando dal calcio minore”. Sbagliato: è dal vertice che si dovrebbe cominciare. Dalle curve violente e malavitose, sempre impunite, cullate dalla giustizia ordinaria e sportiva nel nome di un “giocattolo” da maneggiare con cura per evitare “danni sociali”. È dai giocatori in campo: sempre pronti ad aggredire verbalmente un arbitro con atteggiamenti disgustosi che inevitabilmente si riverberano sugli spettatori. È dai dirigenti inseguiti da provvedimenti giudiziari che lasciano il tempo che trovano. È dalle procure zeppe di magistrati tifosi, di cancellieri tifosi, di uscieri tifosi. Ed è dai vertici del Palazzo, sempre pronti ad autoassolversi e per i quali il sostantivo “dimissioni” non esiste. Per i quali il senso di “opportunità” nel dimettersi, non esiste. Per i quali non esiste “conflitto di interessi” che li faccia perlomeno arrossire. Per i quali i fallimenti sportivi sono medaglie da esibire impunemente e non vergogne da lavare, con le dimissioni. Il Palazzo ha una visione padronale delle proprie competenze e dei propri compiti. Finge di cambiare, affinché tutto resti come prima. Il Palazzo non è composto da dirigenti sportivi, da manager estranei al tifo: è composto da politici. Non farò nomi. Li ho fatti così a lungo (inutilmente) da aver perso ogni tipo di fiducia nel sistema. Si sono conteggiati gli episodi di violenza sugli arbitri: sovente persino alle gare dei bambini, da parte di genitori obnubilati ai quali dovrebbe essere tolta la patria potestà.

Nessuno ha conteggiato finora gli episodi di violenza tra ultras: quello che accade nelle curve, quello che accade nei grill in autostrada. Quello che subiscono (conniventi) i club davanti ai ricatti delle tifoserie. Il calcio è malato. E non si vedono cure che possano guarirlo. Stanno facendo scandalo i misteriosi infortuni alla Juventus di Nico e Douglas Luiz: oggetti misteriosi, pagati con straripanti forzieri. Ma quanti infortuni si sono sommati dall'inizio della stagione nei vari club? Si gioca troppo. Tanto si gioca, per poter incassare. A dire il vero i club incassano quote parti risibili rispetto agli introiti delle Federazioni, dell'Uefa e della Fifa. I club sono i più esposti, considerato che sono i club a pagare i giocatori, risarciti in caso di infortuni con le nazionali con cifre ridicole. E nessuno ha dimenticato che durante il Covid, quando si giocava (costretti) in stadi deserti, né le Federazioni, né l'Uefa, misero mano alla borsa per sostenere i bilanci dei club. In Italia fu Franco Carraro, allora presidente federale, a decidere di portare il campionato da 18 a 20 squadre. Era stato anche a 16 squadre, il campionato. Gli infortuni c'erano anche allora. Contro un crociato nulla puoi. Ma gli infortuni muscolari erano minimi. Si giocava-è vero-a basse velocità in campo. Oggi se vedi in televisione le gesta di Sivori, di Suarez, di Schiaffino, ma anche in stagioni successive quelle di Platini, Zico, Falcao, dello stesso immenso Maradona, quei giocatori sembrano “fermi”. Prevaleva la tecnica sulla odierna corsa bruta. Il gap tra squadre di vertice e squadre di media e bassa classifica era ampio, anche allora. Oggi questo divario è diventato smisurato.

Vedi la Coppa Italia e assisti a partite tennistiche più che a gare calcistiche. Vedi la nuova Champion's e ti chiedi come sia possibile che club di così poca consistenza siano state promosse nell'olimpo calcistico. Non ho nostalgia della Superlega: era una proposta mal concepita e mal veicolata. Ma fu “cassata” dall'indignazione popolare (esternata persino dall'erede al trono della monarchia britannica) in modo irrazionale. Il satrapo che gestisce l'Uefa vide in quel tentativo di dare una dimensione diversa (a cominciare da quella economica) al calcio, un attentato alla propria roba. E in un moto verghiano fondato sul ricatto fece rientrare le “truppe nei ranghi. La Superlega non era la panacea di tutti i mali. Ma avrebbe dovuto essere analizzata in modo diverso. Il calcio sta perdendo appeal. E ben lo sa il Palazzo, (lo sanno le televisioni, progressivamente erose dall'utilizzo dei telefonini) considerato che altre discipline dal tennis al volley, stanno entrando con forza nel cuore degli appassionati. Non così il basket (da uomo che ha vissuto il parquet al pari del prato verde, lo dico con dolore) ridotto a scialba riproduzione di quello che un tempo fu. Il basket dei campanili (Biella, Forlì, Gorizia, Livorno, Mestre, Padova, Udine) ormai confinato nelle serie minori che un tempo muoveva interesse e passioni.

Scrivo ora, come ogni settimana, Juventus: ma a che pro? Ormai mi sono disposto ad accettare l'evolversi degli eventi, con pochi fremiti e spero saggezza. Del resto dal campo le notizie recitano che Thiago Motta ha recuperato Vlahovic in vista del prossimo match di campionato e anche Adzic. Non ancora Douglas Luiz, Nico Gonzales, Milik, oltre ai non recuperabili Bremer e Cabal. In attesa del primo gol di Koopmeiner (che ormai è come quel “Godot” che mai arriva), in attesa di una vittoria (contro il Bologna) che sia vitamina per sconfiggere la cronica pareggite, le notizie vere arrivano al di fuori delle mura.

Ah, no: è stato diramato il calendario del Mondiale per club. La Juve è nel girone C e se la vedrà con il Wydad (Marocco) e l'Al Ain (Emirati Arabi), per finire con il Manchester City. Ha spiegato Francesco Calvo (Managing Director Revenue & Institutional Relation: tanta roba per dire che Calvo si occupa di pubbliche relazioni, ma così fa più figo) che “è un onore giocare contro i migliori club del mondo”. Alzi la mano che conosceva il Wydad e l'Al Ain. Io, confesso, non li conoscevo. Ma è la “globalizzazione, bellezze”. E come direbbe il vecchio Bogart in “L'ultima minaccia”, né io, né voi “possiamo farci niente: niente”. Quindi?

coQuindi andiamo a Roma, dall'inchiesta Prisma dove sono state 200 le richieste di parte civile depositate da Consob, azionisti, fondi di investimento, associazioni di consumatori. L'udienza che vede coinvolti Andrea Agnelli, Paratici e Nedved, per la vicenda plusvalenze, verrà discussa il 27 di gennaio 2025. E quella relativa alle curve malavitose di Inter e Milan? Per ora c'è una indagine, non ancora un processo. Se mai ci sarà. E per la vicenda (quella relativa ai libri antichi) che vede indagato Gravina? Chinè, dopo che il presidente si è autodenunciato (ma non dimesso) sta esaminando le carte. Cioè, il nominato da Gravina che indaga su chi l'ha nominato. Conflitto di interessi? Una volta, così si definiva. E l'inchiesta sulle curve malavitose di Inter e Milan? Per ora si indaga e si verifica. E Lionrock, la misteriosa società affiliata alla gestione Zhang? È davvero mai esistita una società con nome Lionrock? Non sembra: non almeno per il procuratore Marcello Viola. E le plusvalenze, di Roma, Napoli, Atalanta, Genoa eccetera eccetera? Chinè le carte le ha da tempo, da mesi, la Procura di Roma gliele ha inviate. Ma forse Chinè ha troppo lavoro da sbrigare. Non si può chiedere al procuratore federale l'impossibile. Cioè che indaghi e sentenzi con la velocità con la quale ha indagato e sentenziato con la Juventus.

A proposito: stanno impallinando John Elkann come l'orsetto del luna park. A causa della crisi di Stellantis che sta mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro in Italia. Ora: Yaki è un tipo algido che non ispira simpatia. E io, per quello che ha deciso di fare a proposito di Juventus, gliene ho dette sovente, di pesanti. Ma la crisi di Stellantis, culminata nel defenestramento dell'ad Tavares ha molti padri. Elkann è il presidente di una società che da tempo non è più italiana. E che dopo la morte di Marchionne è implacabilmente peggiorata.

La crisi nasce dalla globalizzazione. Da un mercato dove le aziende vanno a produrre dove le tasse sono più basse, le agevolazioni più alte e il lavoro (mal tutelato) costa meno. Se Yaki ha responsabilità, ne hanno anche i governi che prima di Meloni si sono succeduti. Responsabilità ha anche il sindacato che avrebbe dovuto tutelare i lavoratori in modo più adeguato. Ma ancora non basta. La verità è che la transizione green imposta dall'Europa si sta rivelando un fallimento. Principalmente perché in pochi possono permettersi auto elettriche che costano 50.000 euro e che sono (quelle europee) tecnologicamente superate rispetto a quelle cinesi e statunitensi. Ergo anche quelle che produce Stellantis. In Cina le auto europee (la crisi delle celebratissime aziende tedesche è visibile) vengono definite “le auto della nonna”. Per dire che sono automobili “obsolete”. Yaki sta sbagliando, a mio parere, a evitare di andare a riferire in Parlamento, come gli è stato chiesto. Ha sbagliato ad avvalorare la politica di Tavares, lucrosa per gli azionisti ma drammatica per i lavoratori. Ma non è con evidenza l'unico responsabile. In ogni caso: la sua attuale posizione (unitamente alla causa in atto con la madre Margherita per l'eredità contesa di Marella, moglie del''Avvocato) sta gettando una luce ambigua anche sulla Juventus. Il suo avvocato, Ferrero (per inciso presidente della Juventus) viene ritenuto dalla procura di Torino depositario di carte compromettenti in relazione alla vicenda che vede Yaki, Ginevra e Lapo opposti alla madre. Per questioni finanziarie (quadri di autori importanti, compresi). Per la serie: alla Juventus non si fanno mai mancare proprio nulla.

È morto nel giorno del suo 84esimo compleanno Paolo Pillitteri ex sindaco di Milano, raffinato critico cinematografico, ex condirettore dell'”Opinione”. Coinvolto dalla Procura di Milano in “Mani Pulite”. Ci conoscevamo da quando era assessore a Milano, alla cultura (portò gli affichistes sotto alla Madonnina) con il Partito Socialdemocratico. Fu il sindaco socialista della “Milano da bere”. Della moda, della grande stagione della Scala, delle grandi mostre a Palazzo Reale. Il sindaco che (genero di Bettino Craxi) assistette all'ascesa, come imprenditore, di Silvio Berlusconi e del suo invincibile Milan. È stato un amico. Era un interista perbene. A volte abbiamo litigato per questioni politiche, anche per questioni culturali, (sempre comunque nel segno del rispetto) mai per questioni calcistiche. Era un uomo ironico, dalle battute anglosassoni. Quando rivendicavo la mia fede calcistica era solito liquidarmi con la battuta di “A qualcuno piace caldo”, il leggendario film di Billy Wilder con la Monroe, Lemmon e Curtis: “Nessuno è perfetto”.


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