SEBASTIAN GIOVINCO: "Chiamatemi Formica, ma io punto allo scudetto"
Fonte: corriere.it
Sebastian Giovinco è un classico caso di prospettiva ingannevole. Visto da vicino è meno piccolo di quello che appare dalla tribuna di uno stadio o attraverso il tubo catodico. Saranno quelle «Nike» rosso fiammante da pilota di F1, sarà la stretta di mano certamente non minuscola. Come minuscole non sono le sue timidezze, tipica caratteristica del fantasista, ancorché dirottato su corsie laterali perché la sua casella è già occupata. Sebastian Giovinco è giocatore d’attacco sul prato, mentre la fase difensiva gli riesce meglio nell’uno contro uno sul divano. All’esterno una primavera precoce e ingannevole, dentro un giovane uomo disarmante, ma non disarmato. Ecco il pianeta-Giovinco, nella lunga intervista che il talentino della Juventus ha concesso al Corriere della Sera.
Nome.
«Sebastian».
Per via del nonno paterno,masenza la «o».
«Mia mamma voleva modernizzarlo ».
Cognome.
«Giovinco».
Cognome da fantasista.
«Cognome siciliano, di Bisacquino».
Bello, dov’è?
«Provincia di Palermo, attaccato a Corleone».
Lo conosce?
«Ci sono stato una volta, mentre a Catanzaro Lido, la città della mamma, vado quasi tutti gli anni».
Nomi dei genitori.
«Elvira e Giovanni».
Professione?
«Papà metalmeccanico, mamma casalinga».
Fratelli?
«Giuseppe, di tre anni più giovane, gioca nella Primavera della Juve».
Ruolo?
«Come me».
Chi è più bravo?
«Non lo so, lui è bravo, però».
Dove vive?
«Beinasco, non è lontano da qua».
Da solo?
«Con la mia famiglia».
Come si sta a Beinasco?
«Bene, ci sono i miei zii, imiei amici, ci conosciamo tutti».
Studi?
«Uhm. Ho fatto fino alla terza geometra, l’ho ripetuta un paio di volte, poi ho mollato lì».
Segni particolari?
«Tre tatuaggi. Un disegno polinesiano sulla gamba destra, degli ideogrammi sul braccio sinistro e le iniziali della mia famiglia ‘‘Gges’’ sul collo».
Lei è molto legato alla sua famiglia.
«La famiglia è la cosa più importante».
Che cosa le ha insegnato?
«Quello che sono. Senso della famiglia, appunto, serenità nell’affrontare la vita, rispetto degli altri. Educazione, insomma».
Ha cominciato per caso, non per vocazione.
«Ho accompagnato un amico a una partita. Mancava uno per fare numero. Sono entrato».
E non è più uscito. Ma senza spinte dai genitori.
«Mi hanno sempre detto di fare quello che mi sentivo, poi è stata una scelta mia».
E adesso che è famoso, che dicono?
«Sono contenti, ma non sono di quelli che troverete attaccati alle reti di recinzione del campo».
Quindi non aveva poster di campioni attaccati in camera?
«Più che altro non avevo la camera. Io e mio fratello dormivamo nel tinello. Non c’era spazio per i poster».
Il primo pallone?
«Quelli della Juve, quando sono entrato nel settore giovanile. Prima ce l’avevo, ma non era il mio».
Però, fin da allora, aveva il mito del numero 10.
«Del Piero, ovviamente. Ma anche gli altri grandi: Baggio, Zola, Maradona».
Qualche nome di oggi?
«Messi, Cristiano Ronaldo».
Siamo praticamente a metà intervista e non abbiamo ancora parlato dell’altezza. È contento?
«Mai avuto problemi, ce l’hanno gli altri».
In che senso?
«C’era chi mi diceva: ‘‘Sei basso e quindi non ce la farai ad arrivare a grandi livelli’’. Opinioni. Ma nessuno si è mai permesso di prendermi in giro».
Come ha speso i primi soldi guadagnati?
«Mi sono comprato una Ypsilon. Prima andavo a piedi».
Il soprannome «formica atomica » le piace?
«Sì, mi piace».
Un giorno sulla questione dell’altezza ha dato una bella risposta: «Bisogna essere grandi dentro».
«Non è mia, l’ho presa in prestito».
Lei è sempre così sincero?
«Sempre».
Conferma che è geloso e che non vuole che la sua fidanzata venga allo stadio?
«Vera la prima, non la seconda».
Cioè?
«Sono geloso. Molto. Però la mia ragazza non viene allo stadio perché le interesso io e non il calcio. E finora non è che dall’inizio abbia giocato molte volte».
Non fa una grinza. Come si chiama la sua ragazza?
«Lo dobbiamo proprio dire?».
No, se non vuole.
«Ok. Si chiama Shari».
Visto che siamo arrivati allo stadio, parliamo un po’ dei suoi sogni.
«All’inizio volevo arrivare a giocare in serie A, poi a giocare nella Juve, adesso voglio vincere con la Juve».
Pragmatico.
«Quando sento che sto per arrivare a quello che volevo, già penso a qualcosa d’altro».
Si porta avanti.
«Io sono all'inizio, ancora non ho fatto niente, devo lavorare. E molto. Raggiunto un obbiettivo te ne devi subito porre un altro, questo distingue un campione da un giocatore normale».
Dove deve migliorare?
«Devo essere più continuo nel gioco. Ogni tanto mi prendo delle pause durante le partite. È la continuità che consente il salto di qualità».
Però c’è anche bisogno di continuare a giocare.
«Non facciamo polemiche».
Ci mancherebbe, qui già non mancano.
«Pur di giocare accetto qualsiasi ruolo, ma il mio posto lo conoscono tutti, è dietro le punte, o la punta».
Che difetto si riconosce?
«Sono testardo».
Non sempre è un difetto. Che ne dicono i suoi amici?
«Io lego con tutti, non ho problemi ».
Ci sarà qualcuno che conosce meglio.
«Marchisio, siamo cresciuti insieme».
Lui ha la sua età ed è già sposato.
«Lo farò anch’io, ma ora non ne sento il bisogno».
E poi la mamma è sempre la mamma.
«Ogni giorno le chiedo qualche piatto diverso. Adoro la pasta al forno con le verdure».
Quando non gioca a calcio che fa?
«Dormo».
Sempre?
«No, non sempre, ma gli allenamenti sono stressanti e quando posso mi riposo. Oppure faccio un giro, ieri sono stato al cinema. Niente di speciale».
Ma la gente non la riconosce?
«Per fortuna sì».
E non le dà fastidio?
«A Beinasco? Ma va».
Lei gode di molta popolarità tra i tifosi della Juve.
«È perché sono di qui, di Torino, mi conoscono non solo come calciatore, ma come ragazzo».
Guardi che non la apprezzano solo a Torino. Per i tifosi della Juve lei sta diventando un idolo. Ci pensa a questo? La popolarità, le aspettative sono un problema?
«Per tanti potrebbero essere un problema, ma io so che ci sono momenti facili e momenti difficili e ho un carattere forte per andare avanti. Questo aiuta».
Aiutiamo la Juve decimata dagli infortuni: come si fa a credere ancora allo scudetto?
«Se uno non ci crede vada altrove, alla Juve bisogna provare a vincere sempre. Poi alla fine si tirano le somme».
Lei, in compenso, non se la tira per niente.
«È il mio carattere, sono sempre lo stesso».
Ma lei è veramente così?
«Così come?»
Tranquillo.
«Tranquillissimo. Ma non mi fate arrabbiare».