Nedved: "Per lo scudetto battaglia aperta. Mi rivedo in Vidal. All'inizio rifiutai la Juve poi..."
In un'intervista al Messaggero Pavel Nedved, attualmente consigliere d'amministrazione della Juventus, ha parlato di passato, presente e futuro della sua vita calcistica:
Da giocatore a dirigente. Com’è cambiata la sua vita?
«Mi devo ancora abituare. Non lavori più fisicamente ma con la testa. Alla corsetta però non ci rinuncerò mai».
Il distacco ad alcuni suoi ex colleghi ha portato alla depressione.
«Può capitare a chi era abituato alle telecamere. Io sono stato un giocatore diverso. Mi piaceva stare sul campo, faticare».
Lei ha smesso di giocare a 37 anni, la stessa età di Del Piero.
«Io non me la sentivo più. Non credevo che quella Juve potesse vincere con me e che io potessi dare ancora qualcosa d’importante. Allora mi sono fermato. Alessandro saprà cosa fare. Se si diverte e se ha motivazioni, continuerà».
Ancora alla Juve?
«Bisogna chiedere a lui. Tecnicamente non si discute. E’ un fenomeno. Nel calcio moderno si deve correre tanto. Si va ad alta velocità. Quest’anno non ha trovato tanto spazio, ma è stato importante per la squadra».
Ci spieghi il sì ad Andrea Agnelli, quando le ha proposto di fare il dirigente.
«E’ un amico e non volevo lasciarlo da solo. E’ giovane. Fare calcio non è facile. Soprattutto in Italia. Ci sono troppe pressioni. Abbiamo un bellissimo rapporto. Parliamo di mogli, famiglia, calcio. Ci lega la mitica partitella del giovedì sera».
Perché non c’era all’inaugurazione dello Juventus Stadium?
«Ci sono state delle piccole incomprensioni. Che succedono. Uno ha voglia di migliorare e di aiutare diversamente. Ci siamo capiti, abbiamo chiarito tutto. Si cresce anche in questo».
Un’altra parte importante della sua carriera è stata la Lazio. E’ vero che non sapeva che Cragnotti l’avesse ceduto alla Juventus?
«Alla Lazio voglio bene. Loro vogliono bene a me. Ho passato 5 anni bellissimi, incredibili. Gli auguro di arrivare terzi».
Si sentì tradito?
«Non la metterei così. C’era una situazione non piacevole per il presidente, fu costretto».
All’inizio è vero che non voleva andare alla Juve?
«Sì, rifiutai. Lo sanno Moggi e il mio procuratore Raiola. Poi capii la situazione e andai volentieri. Così ho potuto confrontarmi con i migliori».
Roma le manca?
«Ci torno sempre volentieri. Ho ancora tanti amici. Non la dimenticherò mai. A me piace la campagna. Quando sono arrivato nella Capitale ero giovane e spaventato. Ho sofferto un po’. Era troppo caotica per le mie abitudini. A Torino ho trovato una dimensione giusta per me. Abito fuori, in campagna appunto».
Chi la convinse a venire in Italia?
«Zeman. L’ho sempre ringraziato. Mi ricordo le prime telefonate ai tempi dell’europeo del 1996. Avevo un preaccordo con il Psv Eindoven. Ero convinto di andare lì. Poi mi ha chiamato e con la sua solita classe, mi ha detto: io penso che tu puoi giocare in Italia (imitazione di Zeman e risata, ndr). Mi sono fidato di lui. Lo vedevo come un mito. Mi piaceva come faceva giocare le sue squadre».
Perché Zeman è diventato cattivo con la Juventus?
«In fondo è uno juventino vero. Poi ha detto cose che non sono piaciute neanche a me. Ma non posso non volergli bene».
Si sente più juventino o più laziale?
«Senza offendere nessuno, più juventino. Qui ho vissuto gli anni migliori della mia carriera. Ma mi sono trovato bene dappertutto».
Si sente un antipatico vincente?
«Non ci sono dubbi, non mi importa di essere simpatico. Non lo sono mai stato. Sul campo stavo sulle scatole a tanti».
La Champions da dirigente sarebbe...?
«Solo una consolazione. Resta il rammarico di non essere riuscito a vincerla da giocatore».
Una mano adesso la dà a Conte. Si aspettava che potesse diventare un grande allenatore?
«Che fosse bravo lo sapevo. Così tanto non me lo sarei mai immaginato. Siamo contenti di questa scelta. Ha fatto passi da gigante. E’ un fuoriclasse».
Ha visto Barcellona-Milan?
«I rossoneri non hanno fatto una brutta figura ma non era un grande Barcellona. Con un po’ più d’intensità poteva passare il Milan».
Chi vincerà la Champions?
«Il Real Madrid».
Cosa pensa di Mourinho?
«Mi piace il suo modo di allenare. Quelli che hanno giocato per lui ne parlano bene. E’ un grandissimo comunicatore».
Nel 2007 l’aveva convinta, poi perché ha rifiutato?
«Avrei vinto la Champions. Ma non potevo tradire me stesso. Non potevo vincere con quella maglia lì, quella dell’Inter».
Chi vince il campionato?
«Noi. Ma è difficile. E’ tutto aperto. Sarà una battaglia fino all’ultima giornata».
Avete fatto innervosire il Milan.
«Perché? Pensavano che avremmo mollato? La Juve è tornata la Juve».
La Juve paga ancora le scorie di Calciopoli?
«E’ evidente. Io l’ho vissuta sul campo. Gli arbitri sono sotto pressione e forse troppo giovani, perché non li mandano in pensione più tardi? L’esperienza fa la differenza».
Le polemiche con Galliani e Allegri?
«Fanno parte del gioco. Ho sempre consigliato ai miei giocatori di guardare un bel film. Solo i dirigenti possono fare queste battaglie. E’ importante che il calcio si decida sul campo».
Degli arbitri di linea cosa ne pensa?
«Sono favorevole, la tecnologia non è sempre adatta al calcio. A Catania, anche vista la moviola, non avrei saputo decidere».
Chi è il Nedved di questa Juve?
«Vidal, un giocatore di livello mondiale. E’ un guerriero come Conte. Ha visione di gioco, corre, lotta».
E’ vero che ha fatto fare pace a Raiola con la Juve?
«Sono contento. Mino è molto capace. Ha giocatori bravi che potrebbero servirci».
Come Balotelli?
«E’ fortissimo. Ho parlato con Ibrahimovic. Zlatan mi ha detto che è il più forte di tutti, può diventare uno dei primi tre al mondo. Se lo dice uno come lui, ci credo. Vedo tante potenzialità deve migliorare il comportamento».
Ibra è convinto di battervi.
«E’ sicuro che loro siano più forti di noi, che lo scudetto lo vincerà il Milan. Gli ho risposto che bisogna dimostrarlo sul campo».