Moby Dick - Balotelli è costato 20 milioni, pagabili in quattro anni. Isla, Padoin e Peluso costeranno in tutto 30 milioni. Dove è l'errore?
Alla Juventus si è soliti parlare di “italianità”. Un aborto letterario oltre che un termine assai pericoloso culturalmente. L’italianità, nell’epoca della globalizzazione, con cittadini stranieri intenti a lavorare e a pagare più tasse dei presunti “italiani di primo pelo”, è il punto di arrivo dello squadrismo di razza. Un po’ come credere a Narnia, un po’ come ritenere Azkaban un quartiere residenziale di qualche cittadina lombarda. La Juventus ha nel suo nome latino il più grande ossimoro della storia, ovvero l’associazione fra la traduzione letterale di “gioventù” ed il sintetico appellativo, moderno, di “Vecchia Signora”, con il quale impropriamente si vuol ricordare l’ultracentenaria storia della società bianconera. Nell’ultimo mercato, quello del 2012-2013, dato dalla somma algebrica fra operazioni estive ed invernali, l’ostentata ricerca del “made in Italy”, traccia ribadita e consolidata dalla “Fiat” per rilanciare sul mercato nazionale la casa automobilistica torinese, ha prodotto l’arrivo di due carneadi non più di primima scelta. Entrati di diritto nel ventinovesimo anno di età con una gavetta sin troppo lunga alle proprie spalle.
La coppia formata da Simone Padoin e Federico Peluso ha consentito alla Juventus di allungare la propria panchina con due giocatori ai limiti della normalità tecnica. Buoni per ingrassare la “rosa”, non certo per migliorarla. Due italiani doc, il primo originario di Gemona del Friuli. Il secondo, romano, cresciuto e forgiato nell’Atalanta dei miracoli. Due rincalzi, due rattoppi buoni per far rifiatare qualche titolare ed allungare la panchina. Due toppe non certo acquistate a buon mercato, però. Dieci milioni in due. Talvolta, nella scelta dell’italianità sulla quale investire si possono dunque commettere errori, talvolta persino marchiani. Troppo presto per giudicare, dirà qualche miope osservatore incapace di focalizzare oltre il palmo del proprio naso l’investimento, a breve termine, fatto su due calciatori già giunti ad una piena maturazione tecnica. Il Milan, senza sbandierare l’ossessiva ricerca di talenti nostrani è invece riuscito nell’impresa di ipotecare, nel giro di ventiquattro mesi, due giovani talenti, due potenziali fuoriclasse. El Sharaawy e Balotelli sono figli della nuova Italia, quella generosa e disponibile verso chi ha deciso di cercar lavoro e gloria lontano dalla propria terra. Quell’Italia ancora capace di accogliere e di non discriminare.
Balotelli ed El Sharawy sono due campioni autentici, prodotto di quel multiculturalismo di cui questo paese ha disperatamente bisogno. Il primo è figlio di genitori ghanesi, cresciuto a Brescia, città delle acciaierie e del pane caldo, ma nato a Palermo. Città che ha costruito una fetta importante del tifo bianconero, anzi sabaudo. Per via delle officine Fiat, della laboriosità tutta meridionale che ha consentito di far camminare su quattro ganasce e qualche chilo di acciaio milioni di italiani. El Sharaawy è invece di origini egiziane e possiede un delizioso accento ligure da far invidia persino al grande Fabrizio De Andrè. Loro sono l’Italia del futuro, quella che rifugge dagli stereotipi, dalla facili e sobrie associazioni di pensiero. Il Milan, al modico prezzo di venti milioni, pagabili in quattro anni, ha di fatto acquistato uno dei talenti più puri, e discontinui del calcio europeo. Tante le critiche per Mario il furioso, l’Otello capace di rovinare il proprio talento con qualche colpo di testa. E non dentro ad un campo di calcio. Ma a ventitré anni tutto è concesso. Insieme a Stephan, classe 1992, autore del quadruplo delle reti messe a segno da Giovinco, classe 1987, rappresenterà i colori della Nazionale italiana almeno per i prossimi dieci anni.
Pagato quattordici milioni, ovvero due milioni in più rispetto all’oggetto misterioso Martinez prelevato dal Catania ed oggi parcheggiato in Romania, il furetto italo-egiziano rappresenta l’unico vero numero dieci in una panorama calcistico generoso di mezze punte e tornanti ma non di punteri agili e sguscianti, capaci di andare in “doppia cifra” al termine di ogni stagione. Nel bel mezzo di un girone di ritorno pieno di insidie, qualche riflessione e qualche “mea culpa” per un mercato sin troppo decantato restituirebbero quel pizzico di sano provincialismo, e perché no realismo, ad una Juventus sino ad oggi rimasta prigioniera di tante parole e di tanti progetti, tecnici e tattici, mai realmente portati a termine…
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CHI E' ALVISE CAGNAZZO - Alvise Cagnazzo (1987) è nato a Bergamo e vive a Bari. Giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo, è il più giovane vincitore del premio “Miglior giornalista di Puglia” sezione carta stampata -sport, istituito dall’Odg. È autore dei libri “Tutti zitti, parlano loro”, (2007), “Semplicemente Rafa” (2010) e, “Montero, l’ultimo Guerriero (2010) e, sempre per Bradipolibri, "Antonio Conte, l'ultimo gladiatore" (2011). Ha collaborato con Carlo Nesti. Ha condotto, per centosessantaquattro puntate, il programma televisivo “Parliamo di calcio”, in onda su Rtg Puglia in prima serata. È firma di Calcio2000, mensile nazionale e internazionale fondato da Marino Bartoletti, diffuso in trentadue paesi. Collabora con il giornale “Puglia”, fondato da Mario Gismondi, ex direttore del “Corriere dello Sport”. Collabora con “Il Riformista”. Editorialista per “Tuttojuve.com con la rubrica Moby Dick”. Ha partecipato come opinionista tv a “Quelli che il calcio” su Rai 2 e “La giostra dei Gol” su Rai International.