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Le brutte notizie non vengono mai sole

di Thomas Bertacchini

Da sabato scorso è iniziata la settimana dei derby: uno "vero", Genoa-Sampdoria, e uno "acquisito", la classicissima d’Italia che ne ha il sapore tipico (Juventus-Inter). Volendo allargare il discorso alle eurorivali delle squadre italiane in coppa, mettiamoci pure Barcellona-Real Madrid giocata domenica. Aspettative, ansie, rivalità, tensioni, emozioni, polemiche: in ognuna di loro questi ingredienti non mancano. Il derby della Lanterna ha permesso al Genoa di avvicinarsi in classifica ad un solo punto dai cugini blucerchiati; il "Clasico" spagnolo ha lanciato il Barça a due punti sopra i "blancos"; Juventus-Inter, ancora da giocare, rischia di diventare semplicemente un anticipo serale di prestigio tra la terza e la prima in classifica della serie A.
Le brutte notizie non vengono mai sole. Non bastava la sconfitta di Cagliari: il Milan del redivivo Huntelaar spinge la Juventus al terzo posto, anche se solo di un punto. Il ruolo, al momento platonico, di anti-Inter va appannaggio dei rossoneri. Lo 0-2, per la Juventus, è diventato sinonimo di figuraccia: è andata così col Palermo (4 ottobre), col Bordeaux (25 novembre) e col Cagliari. Su quattro sconfitte stagionali, tre portano lo stesso risultato. Col Napoli, altra musica: i due goals erano stati fatti; poi, però, ne sono stati subiti tre… Se la sconfitta col Palermo aveva segnato, sino a domenica, il punto più basso delle prestazioni in campionato; la partita a Bordeaux aveva lanciato un grido d’allarme inascoltato. Non si trattava del "dazio europeo" da pagare per una squadra nuova in tanti elementi: era un segnale che qualcosa stava iniziando a cedere.
Una squadra forte è lo specchio di una società che lavora con costrutto: dalla proprietà sino all’ultimo elemento della struttura. "La Juventus è riuscita a perdere 3 volte in 6 giorni": Oliviero Beha ha inquadrato alla perfezione la situazione in casa bianconera. Un presente che rifiuta il passato, salvo poi reclamarne i successi. Un presente che non condivide la politica delle plusvalenze applicata nel passato, salvo poi scoprire quanto sono attraenti e cedere in sua funzione alcuni giocatori (Cristiano Zanetti e Marchionni) che quantomeno sarebbero ancora potuti essere utili alla causa. Un presente guidato da un presidente "tridimensionale" (almeno temporaneamente: presidente, amministratore delegato e direttore generale), quando il passato divideva le funzioni principali tramite l’operato di tre persone.
"Progetto", la parola giusta da usare in ogni situazione: in estate, quando ancora non si gioca; in inverno (o, addirittura, in autunno) quando le cose iniziano ad andare male. In funzione di un qualcosa di astratto (soprattutto nei fatti), si cerca di dare credibilità ad una creatura che adesso inizia a mostrare crepe da più parti. A nulla serve reclamare su rigori non dati (7 mesi e 19 partite, comunque, non sono pochi..) o puntare il dito solo contro l’allenatore. Lui, non è assolutamente esente da colpe. Al pari, però, di chi lo ha scelto.
Arrivare al 29 di novembre e non sapere ancora se schierare un centrocampo a "rombo" o a "trapezio", può bastare come spiegazione dello stato di indecisione attuale. Il rientro di Del Piero (non ancora in forma) e l’uscita di Iaquinta e Trezeguet incidono relativamente. Lo stesso Del Piero in campo senza avere ancora una partita intera nelle gambe a Bordeaux, insinua la paura di una scelta dettata più dal cuore che non dal raziocinio. Le sostituzioni di Sissoko in terra di Francia e a Cagliari (con Marchisio e Tiago), rientrano nel campo dell’inspiegabile. Agire senza guardare in faccia a nessuno: l’unica (forse l’ultima) strada perseguibile da Ferrara per rimettere in sesto la baracca.
In questa situazione sabato, all’Olimpico, arriverà l’Inter. Qualche giorno dopo, sarà la volta del Bayern Monaco che, a sorpresa, sembra poter recuperare anche Ribery. Le brutte notizie non vengono mai sole…
 


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