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LA JUVENTUS E LA STRADA DELL'EQUILIBRIO

di Thomas Bertacchini

La Juventus, contro il Lecce, doveva vincere. E ha vinto.
A dire la verità, quello è il suo unico obiettivo: sempre, comunque, ovunque.

Christian Heidel, il direttore generale del Mainz, la squadra tedesca tornata in Bundesliga due anni fa dalla seconda divisione e autrice di un inizio campionato strepitoso con sette vittorie di fila su sette incontri disputati (eguagliati i record di Bayern Monaco e Kaiserslautern), qualche giorno fa aveva pronunciato queste parole: "non abbiamo la bacheca per i trofei, perchè non sapremmo cosa metterci". Ora il Mainz si ritrova in seconda posizione (solo per differenza reti), dopo essere stato sconfitto dall’Amburgo e raggiunto dal Borussia Dortmund in vetta alla classifica. La sua impresa, nonostante tutto, rimarrà negli annali di quella manifestazione.

Se per molte società il fatto di ritrovarsi - al di là delle più rosee aspettative - a competere ad altissimi livelli può rappresentare una novità, per altre è l'unica ragione che giustifica la loro esistenza.
Storia, tradizione, DNA, investimenti economici, aspettative, bacini d'utenza: tutti questi aspetti, e altri ancora, impongono ad alcuni club di puntare al massimo in tutte le manifestazioni alle quali partecipano. Sempre.

La Juventus, in questo (suo) momento storico, si trova in una situazione particolare: se da una parte è forte la consapevolezza che per lei esiste solo la vittoria, e che chi arriva secondo vuole semplicemente dire che si è posizionato primo tra i "perdenti", dall'altra non si può fare a meno di considerare tutto quanto le è capitato in questi ultimi quattro anni.

L'aver affidato la società nelle mani sbagliate (e "bucate") nell'immediato dopo-2006 ha finito col peggiorare una situazione che - di fatto - era già drammatica senza la necessità di doverla ulteriormente aggravare.
La scorsa stagione sarebbe dovuta essere quella del riscatto: in pochi mesi si è trasformata nel tracollo definitivo di un progetto senza capo né coda.

Non tutti i mali vengono per nuocere se si vuole vedere ("alla Del Neri") il bicchiere mezzo pieno: con l'arrivo di Andrea Agnelli e la successiva riorganizzazione del club, adesso si respira un'aria nuova.
Non molto diversa da quella che storicamente ha circondato la società, e che l'attuale Presidente bianconero conosceva bene, avendo vissuto in prima persona - da (molto) vicino - le vicissitudini della Vecchia Signora. All’epoca in cui stava instaurando con lei un legame che sembrava potesse andare ben oltre quello affettivo.

E' una fase di transizione, questa, per la Juventus: la differenza col recente passato è che si ha la netta sensazione che lo sia per davvero, e non soltanto a parole.
C'è un'idea alla base della (possibile) rinascita, che dovrà essere necessariamente sviluppata giorno dopo giorno, per guadagnare punti e vittorie sia sul campo che fuori. Lo "sentono" i giocatori, lo avverte il pubblico: dalle amichevoli estive del precampionato alla sconfitta interna contro il Palermo, il sostegno dei sostenitori non è mai mancato.

Il saluto a fine gara dei calciatori ad entrambe le curve dell'Olimpico, i cori di incitamento a Del Neri, il Melo ritrovato, il felice ambientamento di Quagliarella e Aquilani, l'esplosione di Krasic, la serenità dell'ambiente, la compattezza della squadra dopo gli alti e bassi (e gli sbandamenti) delle prime partite... Ci sono molti ingredienti per preparare una stagione con i fiocchi. A patto che tutti, ma proprio "tutti", continuino a dimostrare la maturità espressa sino ad ora.

Se ad inizio stagione la nuova dirigenza predicava "pazienza" ai tifosi, una richiesta simile ad una firma da apporre - sulla fiducia - in un assegno in bianco, adesso che si vedono (e si possono toccare con mano) alcuni risultati l'errore più grande potrebbe essere quello di convincersi di aver colmato in pochi mesi una voragine che separa la Juventus dalla sua storia.
L'entusiasmo è un'arma formidabile, ma va maneggiata con cura: a volte ti aiuta a compiere le imprese più impensabili, in altre ti fa perdere il contatto con la realtà. Da un "trionfo" ad un "tonfo": non è una soltanto una questione di consonanti e vocali, ma di un equilibrio prezioso da raggiungere e mantenere vivo. C'è una strada lunga da percorrere, avere imboccato quella giusta è già una grossa soddisfazione. L'importante è continuare sulla retta via.
E conservare questo ritrovato "spirito-Juve", che sembra parente vicino di quello lasciato quattro anni fa.
O forse è lo stesso.