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LA JUVE TRA VECCHI PROGETTI E NUOVI RINNOVAMENTI

di Thomas Bertacchini

"Abbiamo riportato nei tempi previsti la squadra alla massima competitività, nazionale e internazionale. In questi ultimi anni solo un'altra squadra ha fatto meglio di noi, ma con una logica economica diversa".
Era il 14 febbraio 2010, il giorno dedicato agli innamorati, quando Jean Claude Blanc pronunciò queste parole.

A (ri)leggerle ora, a distanza di mesi, verrebbe da pensare ad una Juventus finalmente alla conclusione di quel percorso di rinascita iniziato dalle ceneri del terremoto del 2006.
Invece si stava parlando di una squadra eliminata di fatto dalla Champions League, retrocessa nell’Europa League dove avrebbe ancora dovuto giocare l’andata dei sedicesimi di finale contro l’Ajax e che era riuscita ad ottenere 8 punti nelle ultime quattro giornate in serie A, dopo la recente vittoria in casa del Bologna (tanta roba, visto quello che sarebbe accaduto da quel momento in avanti).

Ciro Ferrara era stato esonerato da pochi giorni, nonostante le dichiarazioni dello stesso Blanc del 1° dicembre 2009 dopo la sconfitta esterna a Cagliari ("Ferrara non rischia nulla, sta lavorando bene e ha tutta la nostra fiducia. L'esito delle due prossime partite non cambierà nulla, andiamo avanti con il nostro progetto. Ciro ha grandi capacità ed è un gran lavoratore, ha con lui uno staff di qualità").

Al termine dello scorso campionato altre cinque squadre, assieme all’Inter, fecero meglio della Juventus.

Ci voleva pazienza, per vedere finalmente compiuta l’idea di calcio (in)sostenibile del francese.
La stessa parola usata più volte da Claudio Ranieri ai tempi della sua permanenza in bianconero. Come, ad esempio, nella dichiarazione che rilasciò in occasione del pareggio (0-0) ottenuto a Genova contro la Sampdoria nell’anticipo della 5° giornata del campionato 2008-09: "Ma se raccontassi che siamo venuti a Genova senza pensare ai tre punti non direi la verità. È andata male, pazienza, sorrideremo un'altra volta". Nella partita diventata famosa per altre affermazioni: "Non ho messo Giovinco perché avevo paura della spinta offensiva di Pieri".

Oppure in quelle pronunciate dallo stesso allenatore dopo la sconfitta interna contro la Lazio in coppa Italia, nel corso di quella stagione. Una disfatta che determinò l’uscita dei bianconeri dalla competizione: "Volevamo andare in finale, non ci siamo riusciti,...Pazienza". A cui seguirono altre frasi diventate (anch’esse) celebri: "I nostri tifosi sono il nostro popolo e il popolo è sovrano".

Non si possono imputare al nuovo Presidente Andrea Agnelli e alla sua dirigenza (tutta meno uno…) gli errori del recente passato bianconero. Su quelli, e "con" quelli, hanno dovuto lavorare in questi primi mesi. Si attendeva il termine del calciomercato estivo per stilare un bilancio dell’operato in quella sede: oltre all’unanime delusione per il mancato arrivo di (almeno) un campione sotto la Mole, la tifoseria si è "divisa" tra pessimisti, ottimisti e realisti. Consci, in larghissima maggioranza, che lo scudetto, per quest’anno, è "roba d’altri".

E’ sparita, o quasi, la parola "progetto", sostituita dal termine "rinnovamento". Che, come dice Giuseppe Marotta, "è un processo più lento rispetto a una rivoluzione". L’unico ritornello, che non cambia, è che "ci vuole pazienza".
Quella che viene chiesta ai tifosi, nuovamente. E che, ad oggi, hanno avuto in dosi massicce.

Al ritorno in serie A (dopo l’inferno della B), si decise di puntare su un centrocampo guidato da Tiago e Almiron (per finire con Cristiano Zanetti e Sissoko). Se sul portoghese non vale la pena dilungarsi, sull’argentino è giusto ricordare le sue prime parole pronunciate a Torino ("Forse non sono ancora pienamente maturo per una squadra come la Juve") per capire la differenza tra "indossare" la maglia della Juventus e "portarla": sono due cose diverse.

Nonostante gli errori della campagna acquisti, alla fine la Vecchia Signora si classificò al terzo posto. Accettato di buon grado, in larga parte, perché i tifosi avevano capito le difficoltà nelle quali si trovava ad operare la (precedente) società. La scorsa estate, invece, nel tentativo di migliorare e rendere competitiva la squadra, si finì col distruggere tutto. La gestione degli eventi in corso d’opera, poi, fecero venire alla luce le debolezze interne della dirigenza. Ma quello è un altro discorso.

Si può sbagliare, e il campo dirà - come al solito, come sempre - la verità, ma l’impressione è quella di essere tornati di nuovo "all’anno zero", più o meno come accadde nei momenti successivi al ritorno in serie A. Con qualche campione in meno e con una Vecchia Signora più simile ad una Signorina ai primi passi in attesa di diventare grande, verso la quale i tifosi devono portare pazienza. E infinito amore. Quello che non è mai mancato: l'ennesima riprova la si può avere guardando come si sta iniziando a riempire lo stadio Olimpico per la prossima gara interna con la Sampdoria di domenica.

Lo si è capito: ci vuole pazienza. Ormai si può anche smettere di dirlo. Adesso spazio alle partite, alle sette gare in poco meno di un mese. E che siano i fatti a parlare, d’ora in poi.

Ha detto bene due giorni fa David Trezeguet, uno che a Torino sarà sempre di casa: "Nel calcio il passato è importante. Nella Juve è quasi tutto".
Il problema è che, ancora, non si trova un collegamento tra tutto quello che c’era nel 2006 e la realtà odierna. Fatta eccezione per qualche giocatore.
Ma è ancora poco. Troppo poco.
 


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