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IL SUDAFRICA, L’ITALJUVE E IL CARRO DEI VINCITORI

di Thomas Bertacchini

Il Sudafrica balla sul goal di Tshabalala, quello del momentaneo vantaggio nella gara contro il Messico, allontanando per qualche ora i problemi di una nazione che (anche) attraverso lo sport cerca di riunire le sue diverse anime.
Quel pallone che ha creato tante polemiche, lo "Jabulani", indirizzato verso il sette dell’estremo difensore messicano, dava la sensazione di essere spinto da una mano invisibile, quasi a voler premiare un popolo che segue con passione sincera il primo campionato del mondo disputato in terra africana. Il successivo pareggio di Marquez ha riportato tutti con i piedi per terra: questo è il calcio, i miracoli esistono, ma il cuore non basta. Serve, ma non è decisivo.

Partirà, lunedì, anche il mondiale dell’Italia campione in carica. Anche lei ha più di un’anima: quella della giustizia e quella del giustizialismo; quella dei (veri) colpevoli e quella dei capri espiatori; quella di chi si allontana dalla (propria) nazionale prima ancora che metta il piede in campo, ammettendo candidamente che dei mondiali azzurri "non gliene frega niente", salvo poi ritrattare tutto quando i risultati (e l’entusiasmo) danno loro torto.

E’ la nazione di un popolo maestro nello sparare a zero contro tutto e tutti, seguendo il "sentimento popolare". Un popolo fatto - anche - di persone sempre pronte a polemizzare, quasi a volersi mostrare, agli occhi del vicino, "diverso": in politica come nell’ultimo dei "bar sport". Sono i primi a salire sul carro dei vincitori o sulle Api strapiene di tifosi che inondano le città festose per un mondiale appena vinto. Sono quelli che si coprono il volto facendosi avvolgere dalle bandiere tricolori, le cui parole - però - "rimangono". Soprattutto se scritte o dichiarate di fronte ad una telecamera. Nonostante i tentativi, nel corso del tempo, di modificarle o - addirittura - negarle.

E’ l’Italia che aveva necessità urgente di procurarsi un nuovo tecnico, per il dopo-mondiale, il prima possibile: non solo perché la Fiorentina si sarebbe dovuta cautelare con un sostituto, ma soprattutto per spegnere sul nascere focolai polemici che impazzivano ovunque. E’ una nazionale senza un "Totti", un "Del Piero" o un "Roberto Baggio", sfavorita d’obbligo perché campione in carica e tecnicamente diversi gradini sotto i vari Brasile, Argentina, Inghilterra e Spagna.

E’ la nazionale di un C.T. antipatico, Marcello Lippi, perché vincente e juventino nell’anima. Troppo schietto, duro e diretto? Lo è anche Fabio Capello, le cui vittorie bianconere sono state insabbiate in un cd di intercettazioni "irrilevanti". Quelle milaniste, ormai, pur se entrate nella leggenda sono datate nel tempo. E’ bastato se ne andasse all’estero, per diventare simpatico ed essere rimpianto.

Siamo diventati l’Italia dei "Zoff, Gentile e Cabrini" e dei "Buffon, Zambrotta, Cannavaro" solo dopo cataclismi sportivi: dai primi silenzi stampa del mundial spagnolo alla Farsa montata e smontata in pochi giorni in quello tedesco. E’ maturata la convinzione che senza tensioni non si riesce a vincere: solo questo spiega la ricerca ossessiva di un qualcosa cui attaccarsi (e da attaccare) per creare un contesto simile a quelli (passati) vincenti.
E’ nel DNA dell’italiano medio quello di dare il meglio di sé soltanto nelle situazioni peggiori.
Riuscendo a compiere, a volte, veri e propri miracoli. Non solo sportivi.

Abbiamo una nazionale dove il talento non abbonda: si guardano con speranza le delicate fibre muscolari di Camoranesi perché è uno dei pochi che può dare quel pizzico di imprevedibilità in più per sorprendere gli avversari e vivacizzare un gioco che - in caso contrario - dovrebbe sopravvivere della corsa del nuovo bianconero Pepe e di un centrocampo dove, complice l’infortunio di Pirlo, Lippi sta rimescolando le carte nella speranza di trovare il giusto equilibrio tra difesa e offesa.

C’è ancora tanta Juve, in questa squadra. Tra presente, passato, futuro (prossimo) e panchina.
Perché - "piaccia o non piaccia" - quando l’Italia vince, sotto l’azzurro c’è parecchio bianconero. In finale a Berlino ce n’erano tanti, da una parte e dall’altra (Francia).
Ma non è per questo che l’Italia va amata e tifata.
Sarà dura ripetersi, praticamente impossibile. Nel caso, ci sarà ancora più gusto vedere qualcuno provare a salire sul carro (o sulle Api) dei vincitori, guardarlo dritto negli occhi e invitarlo a scendere.
 


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