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IL CALCIO DEI GIGANTI, DEI BAMBINI, DEI NANI...

di Thomas Bertacchini

E’ il mondiale delle stelle cadenti (e cadute). Così come se ne va in pensione il Pallone d’oro (verrà sostituito, a partire dal prossimo gennaio 2011, dal "Pallone d’oro Fifa", unificazione del vecchio premio con il "Fifa World Player"), escono dal mondiale sudafricano gli ultimi vincitori del prestigioso premio attribuito dalla rivista "France Football": Lionel Messi (Argentina, 2009), Cristiano Ronaldo (Portogallo, 2008), Kakà (Brasile, 2007), Cannavaro (Italia, 2006).

Fuori da subito le ultime finaliste della competizione (Italia e Francia), il tonfo più clamoroso si è sentito dalle parti del Sudamerica, dove due tra le più accreditate (Brasile e Argentina) sono state estromesse rispettivamente agli ottavi e ai quarti. Rimane l’Uruguay, capace di gestire al meglio un tabellone non proibitivo e di resistere ad una lotta sino all’ultimo rigore con il Ghana. Ora incontrerà, in semifinale, l’Olanda di Sneijder e del mister Van Marwijk.

Poteva essere il mondiale di Fabio Capello, di Rooney e della loro Inghilterra: ci si sono messi di mezzo Joachim Löw e i suoi terribili ragazzi di una Germania multietnica, che si sono dimostrati in grado di eliminare - nell’ordine - gli stessi inglesi (agli ottavi) e l’Argentina (ai quarti). Adesso, per loro, ci sarà la Spagna, detentrice dell’Europeo.

Sembrava fosse diventata la manifestazione in grado di consacrare Diego Armando Maradona (anche) come allenatore: decisioni discutibili sia in tema di convocazioni che sulla scelta degli uomini da schierare in campo e sulla loro disposizione sul rettangolo di gioco. Ma tant’è, i risultati gli davano ragione. Prima di trovare la Germania sulla propria strada. Aveva, tra gli altri, Lionel Messi: il "gigante" che insegna al "bambino" come si fa a vincere un mondiale, a caricarsi il peso di una nazione intera sulle spalle, un paese bisognoso di gioie (anche momentanee) per dimenticare, almeno per qualche istante, i problemi che da anni lo affliggono.
Non ce l’hanno fatta, né uno né l’altro.

E’ diventato il mondiale delle novità, delle scoperte e di qualche conferma (la Spagna, Villa, Klose, Schweinsteiger, Sneijder, Robben, Forlan e Suarez, tra gli altri).
E la speranza che il vento del cambiamento arrivi in Italia, già dalla prossima stagione, è forte. Perché solo ripartendo (quasi) da zero si può provare a costruire qualcosa di positivo.
Da Abete in giù, sulla falsariga di quello che sta capitando alla Juventus, un "repulisti" totale potrebbe portare quelle innovazioni indispensabili per cambiare marcia. Un po’ come ha fatto la Germania: dall’insuccesso del 2006 agli ottimi risultati di questa competizione.

E’ una federazione calcistica, la nostra, che deve (ri)trovare (anche) credibilità, innanzitutto all’interno dello stivale. Che deve mostrare equilibrio e omogeneità di giudizi di fronte a tutti, per il bene della giustizia (sportiva). Quella, ad oggi, fatta di due pesi e due velocità, di un massacro mediatico (nel 2006) verso una sola squadra e di qualche riga (e notizia, oggi) verso le altre. Quella che passa dalle intercettazioni "irrilevanti" a quelle "rilevanti" quasi con fastidio, solo perché in internet sono iniziati a girare gli audio delle telefonate che hanno contribuito a ritoccare l’immagine - anche nei confronti delle altre tifoserie - di un calcio diverso da come era stato raccontato quattro anni fa.
A qualcuno, questo, dà fastidio.

"Giusto per chiarire ai lettori, ai siti di nani e ballerine e a chi monta queste porcherie come la pensa il direttore di Gazzetta".
Questo è un breve stralcio della parte finale del "Palazzo di vetro", la rubrica di Ruggiero Palombo, comparsa nella "Gazzetta sportiva" della giornata di ieri. Il direttore Andrea Monti, a difesa del giornalista, ha iniziato così una postilla nella quale - oltre a prendere le sue difese - ha attaccato chi utilizza lo strumento di internet per cucinare "polpette avvelenate" che "vengono per nuocere".

Il "gigante" dell’informazione sportiva contro i "nani". Una lotta impari, se così si può definire: perché in realtà, non c’è nessuna guerra (e nessun avvelenamento), ma solo la ricerca della verità. Se lo "scudetto di cartone" assegnato all’Inter, proprio alla luce delle nuove intercettazioni, ora viene messo in discussione da tanti (giusto per fare un esempio), vuol dire semplicemente che "qualcosa" (di grosso) è stato trascurato, nel 2006. Piaccia o non piaccia.

Anche al "gigante" Maradona capitò di non volersi sedere allo stesso tavolo del "bambino" Thomas Müller, nel corso di una conferenza stampa di quattro mesi fa. Qualche istante prima lo aveva scambiato per un raccattapalle.
Sabato scorso, proprio il tedesco è stato il migliore in campo contro la sua Argentina, segnando un goal e contribuendo ad eliminarla dal mondiale.
 


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