CARUSO: "Senza i miei genitori non sarei alla Juventus, qui siamo sempre state trattate da professioniste"
Arianna Caruso, centrocampista della Juventus Women, è stata intervistata da Cronache di Spogliatoio.
Gli inizi: "Era strano perché a scuola non ho mai ricevuto commenti fastidiosi o offese. Anzi, quando c’era la possibilità durante l’intervallo o nelle assemblee giocavo a calcio anche a scuola. Perfino in partita, fin quando sono scesa in campo con squadre maschili, non ho mai ricevuto mezza parola negativa dagli avversari. Anzi, loro erano anche contenti di vedermi. Magari pensavano di avere un vantaggio vedendo una ragazzina in campo, e invece…".
Il professionismo: "Sono sincera: cosa è cambiato qui alla Juventus dal 1° luglio? Niente, solo quello che c’è scritto sulla carta. Ci trattavano come professioniste già da prima. Sicuramente è stato un passo importante, ma per come viviamo tutti i giorni a Vinovo, noi lo eravamo già da un pezzo".
Il movimento femminile e quello estero: "A differenza del calcio maschile, quello femminile prevede un numero fisso di calciatrici italiane da avere in squadra. Bisogna tornare a puntare sui vivai italiani, far crescere i giovani e dar loro spazio perché sennò per la Nazionale c’è poco futuro. E l’abbiamo visto. Magari anche da noi, senza quel vincolo, giocherebbero le straniere. Dobbiamo cambiare la mentalità. Quando una di noi va fuori, trova delle difficoltà, non deve giocare per forza. Le ragazze che arrivano da fuori, dato che il calcio femminile all’estero è più sviluppato, trovano spazio più facilmente. Se dovessi andare io all’estero, sono certa che appena arrivata non diranno: ‘Ah è straniera, deve giocare’. Anzi, magari dicono: ‘Perfetto, può sedersi in panchina’. All’estero valorizzano i propri giocatori, ci investono. E lo fanno davvero, sul serio".
La chiamata della Juventus: "Quando ero alla Res Roma, arrivarono alcune offerte. Poi, ecco la Juventus. Per venire qui a Torino il club aveva organizzato tutto il viaggio per me e la mia famiglia. Mi hanno fatto fare il giro dello stadio e del museo, spiegandomi tutto il progetto. Io andavo ancora a scuola e loro lo sapevano: ‘Non devi preoccuparti di nulla. Noi abbiamo una scuola a disposizione. Se non fai il nostro indirizzo scientifico, puoi andare in un’altra scuola pubblica e intanto stai in convitto da noi. Avrebbero pensato a tutto loro: cibo, vestiti da lavare, passaggi col pulmino. E a 17 anni, se ti dicono una cosa del genere, non puoi rifiutare. Penso che anche per i miei fosse un sollievo: vedere la propria figlia andar via di casa a 17 anni, senza finire neanche la scuola, poteva essere una preoccupazione. In realtà, ringrazio i miei genitori perché se non li avessi ascoltati, non sarei arrivata alla Juventus".
Il rapporto speciale con il padre: "A 9 anni ho rischiato di perderlo. Da quel momento, ho capito ancor di più l’importanza di avere accanto un genitore. È nato un rapporto speciale, tutto in maniera naturale. Qualcosa di diverso, che fatico a descrivere a parole. E poi ci assomigliamo tantissimo. In passato ho detto: ‘Mi si gonfia il petto d’orgoglio quando mi dicono che sono uguale a mio padre’. Ma è vero. Se prendi una foto di lui da piccolo e una mia, lo vedi subito: siamo uno la fotocopia dell’altro. Mi ha sempre detto: ‘Eh mi dispiace, per tua sfortuna sei uguale a me’. Senza di lui, in realtà, non avrei neanche iniziato a giocare a calcio".
Sogno nel cassetto: "Se vedo il percorso di tante altre ragazze della mia età, capisco di essere stata fortunata. C’è chi è andata in prestito, senza mai tornare alla Juventus. Io invece posso dire: ‘Ce l’ho fatta’. Sia Rita Guarino prima, che Montemurro ora mi hanno sempre dato spazio. L’obiettivo? Le 200 presenze con la Juventus. Ma il vero sogno nel cassetto è la Women’s Champions League. Però guardo a quest’anno: voglio il 6° scudetto consecutivo e la Coppa Italia. E poi c’è il Mondiale. Voglio vivermelo diversamente. L’Europeo è stata la mia prima competizione internazionale con la Nazionale. Era tutto nuovo per me, ma non è andata benissimo. Lo sappiamo tutti, però non scorderò mai il momento della convocazione. È stata la ciliegina di un percorso iniziato tre anni prima. I miei erano contentissimi. Come al solito, a casa, era mamma contro papà. Mio padre è la parte ottimista della famiglia, mia mamma invece diceva: ‘Arià, finché non vedo, non credo’. Quando li ho chiamati per dirglielo, sono esplosi di gioia, ma poi mio padre l’ha guardata: ‘Vedi, lo sapevo. Te l’avevo detto".