Tudor ha perso solo una partita fra campionato e Champions, ma lo scetticismo regna generale. Forse solo un grande allenatore poteva togliere questo alone di pessimismo
Igor Tudor ha perso una partita su diciassette fra Serie A e Champions League. Ha dodici punti in campionato, ha pareggiato però cinque partite di fila. Anche dopo le due vittorie contro Parma e Genoa si respirava un pessimismo esagerato, cosa parzialmente cambiata con l'Inter. Neanche poi troppo, visto che poi sono arrivati i pareggi con Borussia Dortmund e Verona e si è parlato quasi solamente degli otto gol subiti in sette giorni. Il materiale umano della Juventus non è per nulla male, se non ci fossero queste pressioni mostruose da Inter di Massimo Moratti. Perché quello che sembra è, appunto, una frenesia del dovere vincere per forza, magari pure con un bel gioco, non sapendo che i cicli si aprono e si chiudono. Dopo i nove Scudetti dell'era Agnelli sembrava tutto facile.
Non è così. La Juventus deve competere per vincere perché è l'unica cosa che conta. Però Thiago Motta in una sua frase ha detto che "non dev'essere un'ossessione". Non ha tutti i torti perché gli avversari ci sono e, qualche volta, sono migliori. Aggiungere continuamente pressione, come per il Manchester United, con critiche aprioristiche porta solamente a una frustrazione maggiore, sia nella piazza che nei giocatori che, così facendo, non riescono a rendere al massimo.
Probabilmente solo un grande allenatore poteva evitare una situazione come questa. Un Jurgen Klopp, un Josep Guardiola. Pochi altri, magari includendo Antonio Conte. Gente che ha vinto e sa come alzare i trofei, che gode di un credito illimitato da tutti. A quel punto un inizio come quello di Tudor sarebbe valutato discretamente e tutti gli attori in causa sarebbero abbastanza soddisfatti. Certo, non è possibile vincerle tutte: ai tempi di Andrea Agnelli, però, c'era chi non era comunque contento.