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Gli eroi in bianconero: Virginio ROSETTA

di Stefano Bedeschi

Prima di lui il pallone era inteso solo per assestargli solenni calcioni. C’era chi ci si dilettava con palleggi di sconfinata amorosità, come il terzo dei cinque sciagurati fratelli Cevenini, che si fumava cento sigarette al giorno e tutti i portieri della terra, compreso Combi che faceva impazzire in allenamento. «Noi mordevamo il freno a Vercelli per dover giocare senza prendere una lira», ha raccontato un giorno degli anni sessanta Viri Rosetta, 52 volte Azzurro, mille volte campione. Giocava con la testa, nel senso che usava i due piedi in modo perfetto, evitando scrupolosamente di sporcarsi i capelli sempre imbrillantinati.
È possibile che non abbia mai colpito il pallone di testa. Nella sua Juventus, a questa incombenza provvedevano in parecchi, soprattutto Monti e Bertolini.
«È stato il più grande terzino da me conosciuto», ha detto Giovanni Ferrari, «nel gioco di testa non era un campione, ma il suo senso della posizione gli permetteva di fare a meno di quest’arma. Non si allenava molto e per questo in campo non lo si vedeva mai scorrazzare in lungo ed in largo. Sbarrava la sua zona e basta. Quanto agli accordi con il portiere, lui passava il pallone a Combi ad occhi chiusi o, per lo meno, senza guardare. E 99 volte su 100 Combi era là. La centesima volta, beh, era perdonato, tanto più che in genere un gran balzo di Combi ci metteva ugualmente una pezza».
La Juventus aveva preso ad apprezzarlo nella Pro Vercelli. Dal settembre 1923 (da due mesi Edoardo Agnelli era presidente bianconero) dura l’amore juventino. La Pro Vercelli venne a giocare una partita nel primo campo in cemento d’Italia, quello di Corso Marsiglia, ma l’attesa rimase delusa. Rosetta non giocò. Era rimasto a Vercelli come tutti gli altri giocatori della Pro. Avevano chiesto regolari guadagni ed il presidente Bozino aveva risposto con una lettera piena di sdegno: per le gloriose bianche casacche dovevano sentirsi onorati di giocare gratis.
Viri Rosetta aveva le idee chiare. Venne a Vercelli il dirigente juventino Roberto Peccei, che sarebbe poi divenuto suo cognato, a proporgli di trasferirsi come impiegato alla ditta dei fratelli Ajmone e Marsan; avrebbe fatto il ragioniere per 700 lire al mese. La Juventus, per le sue prestazioni calcistiche, gliene avrebbe date altre 300, più 40.000 lire di ingaggio. Estate 1923: Viri Rosetta diventa torinese juventino e guadagna mille lire al mese.
Campionato a tre gironi 1923-24. Rosetta gioca mezzala. La Juventus è lanciatissima, ma il Genoa solleva il caso del suo tesseramento. Bozino parteggia per il Genoa ed il tesseramento di Rosetta viene annullato d’autorità. Il vicepresidente Craveri sfida a duello Baruflini, vicepresidente del Milan, i tempi erano questi. Scoppiò uno scandalo che fece tremare il mondo del calcio. Alla Juventus furono annullate le tre gare in cui aveva schierato Rosetta e, di conseguenza, venne retrocessa di 6 punti in classifica. La squadra bianconera perse lo scudetto, ma non rinunciò al giocatore.
«Tutto considerato e sommato, venivo a guadagnare 1.000 lire al mese», ebbe a ricordare più volte lo stesso Rosetta, «toccavo il cielo con un dito: all’improvviso venivo a trovarmi ricco e, con me, la povera mamma che insegnava in una scuola elementare e con ansia aspettava il 27, così come mio padre anch’egli impiegato. Insomma, il calcio dava a tutti noi benessere. Mi trasferii a Torino. Intanto la Juventus aveva presentato in Federazione quella lettera che ci aveva spedito la direzione della Pro Vercelli e l’avvocato Bozino, che della Federazione era anche presidente, e che approvava il mio tesseramento per la Juventus. Cominciai a giocare in maglia bianconera impiegato non come terzino, bensì all’attacco, prima come centravanti e poi nel ruolo di mezzala. Era la stagione 1923/24. I gironi che componevano il campionato erano tre. Eravamo in testa al nostro che comprendeva anche il Genoa. Insomma, stavamo correndo, lanciati, verso lo scudetto. Tutto d’un tratto, il Genoa suscitò il caso del mio tesseramento ed i giornali presero a scrivere che “la posizione di Rosetta non è regolare!” Il Genoa chiese alla Federazione di indire una assemblea straordinaria per affrontare la questione. Il cuore di Bozino diventò tenero per il Genoa. Venne convocata la richiesta assemblea e la squadra ligure ebbe a suo favore tutte le deleghe delle società della Riviera. Ottenne così l’annullamento del mio trasferimento. Un vero putiferio. Il nostro vicepresidente Craveri sfidò a duello il vice presidente del Milan, Baruffini. La sfida ebbe un’eco clamorosa. Mi sentivo nei panni di responsabile di tutto e me ne stavo chiuso in casa senza più uscire. Nel frattempo la Juventus era stata retrocessa in classifica, penalizzata di 6 punti. Non ho mai capito perché 6 punti. Fatto sta ed è che quel campionato lo vinse proprio il Genoa».
Campionato 1925-26, l’allenatore è un ungherese inquieto e sentimentale, stravede per Verdi e la lirica. Morirà il giorno della cruciale sfida, giocata 3 volte, con il Bologna, Jeno Karoly, primo allenatore moderno del campionato; tattica, strategia, sapeva tutto. La Juventus dominò il suo girone, salvo doversela vedere in finale col Bologna. Primo match 11 luglio a Bologna, Bologna 2 Juventus 2; secondo match: 25 luglio a Torino, 0-0. La bella destinata a Milano per il primo agosto. Il 28, Karoly muore d’infarto, la Juventus lo onora tra le lacrime. Il Bologna è piegato per 2-1. Lo scudetto è dedicato all’ungherese sentimentale, Rosetta è il migliore in campo.
È stato il primo grande stratega difensivo della storia del nostro calcio. I suoi palloni, lunghi o brevi, erano messaggi. Il suo grandissimo senso della posizione, il suo elucubrato pragmatismo, la sua tecnica nel difendere l’1-0 evitando inutili sforzi. Il ragioniere insegnava calcio, ed anche comportamenti di vita, a tavola era facile vederlo evitare il bicchiere di vino. Finito di giocare, fu allenatore sapiente. Quando morì, nel 1975, la sua Juventus era tornata vittoriosa come ai suoi giorni.

 


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