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Gli eroi in bianconero: Sergio PORRINI

di Stefano Bedeschi

Sin dal primo impatto con l’ambiente bianconero – scrive Gianni Giacone su “Hurrà Juventus” del luglio 1993 – Sergio Porrini da Milano, 26 anni, reduce da una stagione a dir poco esemplare nell’Atalanta, dimostra di aver afferrato al volo come vanno le cose nel mondo del pallone. Anni di gavetta, di sacrifici, per meritare la grande squadra, ed ecco la Juve, cioè il massimo, il sogno di bambino, insomma tutto.
«Sì» sono le sue prime parole ufficiali da juventino «ho proprio realizzato un sogno, e ancora non mi sembra vero. Da ragazzino, quando ho cominciato a prendere a calci un pallone, sognavo i grandi stadi e le grandi squadre, e allora, una dozzina di anni fa, la Juve era indiscutibilmente la più grande di tutte. Devo molto all’Atalanta e ai suoi tecnici che in questi ultimi anni mi hanno permesso di crescere, di maturare, fino a meritare il grande salto. È una occasione unica, irripetibile, e spero proprio di non sbagliare. La voglia c’è davvero tutta, ma non basta, perché mi trovo in una squadra che ha titolari numerosi e la concorrenza è dura. Sicché dovrò davvero dare tutto me stesso, e lottare».
Determinazione e grinta che non appartengono soltanto al linguaggio di questo giovanotto, capace in maglia atalantina di francobollare con rabbiosa incisività i migliori bomber in circolazione senza mai esserne soggiogato, di più, imponendo il più delle volte il proprio stacco e l’anticipo, che è dote primaria del nostro.
«Se la grinta fosse la dote più importante per un difensore» dice Porrini «sarei davvero... in una botte di ferro, visto che mi sono formato a una scuola eccellente e che, per una questione di carattere, sono uno che non si tira mai indietro. Purtroppo, la grinta da sola non basta. Ma credo, nella stagione appena conclusa, di aver dimostrato di saper stare discretamente in campo, tanto da meritare la fiducia del signor Sacchi, che mi ha chiamato in maglia azzurra».
Già, perché come spesso accade nelle favole, Porrini tocca in una volta sola due traguardi al prezzo di uno, conquistando con la maglia bianconera anche quella della Nazionale, in cui gioca due partite valide per la qualificazione ai Mondiali statunitensi. Ma, nella personale «hit parade» dei traguardi, il neo juventino non ha il minimo dubbio: «Prima di tutto la maglia bianconera, la grande occasione per dimostrare se e quanto valgo. La Nazionale è stata una bellissima parentesi, ringrazio Sacchi per la fiducia, ma credo che il mio futuro si giochi soprattutto alla Juve. Dove potrò migliorare rubando qualche segreto del mestiere a grandi campioni come Kohler, Julio César e Carrera».
Ma in che modo, e in quale posizione, preferirebbe giocare Porrini? La risposta toglie ogni residuo dubbio circa la prontezza del tipo: «Posso giocare in marcatura tanto al centro che sulla fascia destra. Insomma, l’importante è trovare spazio...».
Dall’Atalanta alla Juventus: una strada che, nel passato più o meno recente è stata percorsa da campioni veri, un nome per tutti, quello del più grande: Scirea. «Non credo che si possano fare accostamenti con il passato» replica Porrini che evita abilmente il tranello «e penso che ogni calciatore faccia storia a sé. Spero solo di poter essere utile alla Juve».
Finalino: che ne pensa, Porrini, della prossima annata bianconera, che tutti reclamano come quella del gran riscatto? «Creda che parlare di riscatto sia un po’ esagerato. La Juve deve crescere, migliorare, questo sì. Ma nel suo passato non ci sono vergogne da cancellare. Vi siete già dimenticati la Coppa Uefa?».

Sergio non è un mostro di tecnica, ma supplisce a questa lacuna con una grinta notevole e disputa un buon campionato. «C’è stato un cambio d’ambiente per me piuttosto brusco. Sarà banale dirlo, ma l’Atalanta è una cosa e la Juve tutta un’altra. Ne ho risentito, anche perché la squadra all’inizio non girava al massimo, in parecchi non eravamo in forma e i tifosi con qualcuno dovevano pur prendersela: essendo nuovo, e per di più pagato una certa sommetta, era inevitabile che facessi un po’ da capro espiatorio. Poi, pian piano, sono entrato in forma ed è cresciuta la squadra, certe questioni si sono stemperate, non mi sono più sentito al centro dell’attenzione e ho cominciato a giocare abbastanza bene. Adesso sono in pace con me stesso e con gli altri. Le difficoltà iniziali sono superate, spero di continuare così».
L’anno successivo arriva Lippi e, soprattutto, Ciro Ferrara: Lippi dopo qualche titubanza, complice la netta sconfitta a Foggia, decide di giocare con la difesa a tre in linea, promuovendo titolare Geppetto Torricelli accanto a Ciro e a Jürgen Kohler e Porrini deve giocarsi con Carrera, il ruolo di prima riserva difensiva.
Sarà decisivo, però, nella doppia finale di Coppa Italia contro il Parma, segnando sia al Tardini sia al Delle Alpi; realizzerà anche un goal importantissimo a Dortmund, nella semifinale di Coppa Uefa, nella vittoriosa partita contro il Borussia. «Non mi sono mai rassegnato – afferma – conosco il mio valore e soprattutto il mio carattere. Ma forse non sarei arrivato a tanto senza il lavoro dell’allenatore e del nostro preparatore atletico. Hanno curato in particolare chi come me giocava di meno, con il risultato che, al momento buono, non ci siamo fatti cogliere impreparati. Non ci sono sorprese o casualità, è tutto frutto della programmazione. Non sono un giocatore da copertina, non mi piace apparire. Quando sono contento con me stesso non ho bisogno di altro».
La stagione 1995-96 vede Porrini scendere in campo una ventina di volte e festeggiare da bordo campo, la grande vittoria in finale di Coppa Campioni, contro l’Ajax. Sarà protagonista, invece, nella sfortunata finale di Monaco di Baviera, contro il Borussia Dortmund e durante tutta la stagione, causa l’infortunio di Torricelli: le sue presenze saranno 40 con 2 goal, di cui uno nella finale di Supercoppa Europea a Parigi, vinta per 6-1 contro il Paris Saint Germain («È il terzo goal europeo, gli altri li ho segnati al Borussia Dortmund e al CSKA Sofia. Una bella rete da attaccante. Noi siamo stati bravi a sfruttare le situazioni da palle inattive. Non è stato un fatto casuale, fa parte dei nostri schemi») e sarà titolare a Tokyo nella Coppa Intercontinentale.
Nel 1997-98 emigra in Scozia, nel Rangers Glasgow, dove resterà per quattro stagioni, prima di fare ritorno in Italia, all’Alessandria e quindi al Padova.
Con la Juventus ha totalizzato 138 presenze e 5 goal, conquistando due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Campioni, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa Europea. Niente male per un “operaio”, come si è sempre definito: «Mi piace, perché vuol dire che si riconosce che metto in ogni partita la grinta, la voglia di farcela. Chi, come me, non è dotato di tecnica eccelsa, è importante che sia al massimo tutte le domeniche. Riuscirci mi riempie di gioia».
 


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