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Gli eroi in bianconero: Salvatore SCHILLACI

di Stefano Bedeschi

Salvatore Schillaci, detto “Totò” (soprannome che lui non ha mai gradito, tanto è vero che i compagni di squadra lo chiamavano “Salvo”) nasce a Palermo il 1° dicembre del 1964 da una famiglia povera.

Il calcio è la sua passione e dopo un campionato nella categoria dilettanti, approda al Messina dove gioca dal 1982 al 1989 segnando una infinità di goals. La Juventus lo nota e lo acquista nel 1989 insieme ad un altro attaccante semisconosciuto Pierluigi Casiraghi e lo fa esordire in serie A il 27 agosto 1989. Da quel momento inizia la favola di “Totò”, che realizza il sogno da bambino, giocando nella squadra per la quale ha sempre fatto il tifo.

Il primo anno con Casiraghi e Rui Barros farà faville, vincendo una Coppa Uefa ed una Coppa Italia, facendolo entrare nel cuore dei tifosi che lo accostano ad un altro idolo, Pietro Anastasi, anch’esso siciliano, anch’esso esploso in provincia.
«Da quando ero ancora un moccioso, l’unica cosa che contava per me era segnare, a dispetto di tutti, compagni ed avversari. Una voglia sfrenata, che non è mai finita. Ma io non potevo cambiare, perché se perdevo quella mia voglia matta di goal perdevo tutta la mia forza di calciatore».

Il suo momento di maggior fortuna è con l’esordio nella Nazionale di Vicini per i mondiali casalinghi del 1990. Parte in panchina come riserva di Gianluca Vialli, ma appena in campo è un’esplosione. Chi non ricorda i suoi occhi spiritati in quel mondiale che ci vide al terzo posto? Uno sguardo che è entrato nella storia. Qui nasce la sua amicizia con Roberto Baggio, che finirà in modo burrascoso, con qualche schiaffone di troppo.

Attaccante tutto istinto, giocatore che fa reparto da solo, molto egoista, tanto è vero che Zeman, padre del calcio totale, non ci andava d’accordo e lo relegava spesso in panchina.

Dopo il Mondiale, Schillaci esaurisce la sua vena realizzativa e disputa due campionati modesti, finché, dopo aver totalizzato 128 presenze con 36 goal, viene ceduto all’Inter prima di concludere la sua carriera in Giappone.

La capocciata contro l’Austria, ai Mondiali italiani, gli ha stravolto, esaltato e distrutto la vita; lo stato di forma assolutamente pietoso di Vialli e Carnevale impone il suo impiego e “Totò” risponde. Trascinato/trascinatore da/di un’intera nazione, vive il Mondiale con un’aggressività, un’intensità ed una pressione disumane: a Mondiale finito è completamente svuotato, prosciugato. I fiumi di inchiostro, i chilometri di pellicola e gli ettari di immagini a lui dedicate lo innalzano a livelli di popolarità da psicosi; facile pronosticare che avrebbe pagato tutto quel clamore per il quale era inadeguato sotto vari punti di vista. Alle largamente preventivabili difficoltà della stagione successiva i media, la critica ed i tifosi avversari e non (“Totò” era diventato un personaggio nazional popolare, come si diceva allora) gli presentano il conto, ovviamente troppo salato per lui.

Gli anni seguenti, due alla Juventus e due all’Inter, occupano un posto marginale nelle cronache sportive e costituiscono argomento di dibattito per la stampa scandalistica e per il pattume televisivo. Nella sua vicenda umana e professionale c’è molto della società italiana che si apprestava a pagare il conto, salatissimo, dei fiammeggianti anni ottanta.

Un giocatore che ha dato tutto ed ha vinto poco, ma che ha saputo sfruttare la grande occasione che ha avuto.


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