Gli eroi in bianconero: RUI BARROS
È stato il Porto, squadra dall’andatura ubriacante, di bassotti rapaci, a incrementare in Italia la conoscenza del calcio portoghese – afferma Vladimiro Caminiti su “Hurrà Juventus” del settembre 1988 –. Personalmente ricordo certe grandi prestazioni della Nazionale lusitana contro tedeschi e francesi, i suoi scatenatissimi puffi hanno sempre riscosso la mia simpatia. In verità, in Portogallo i giocatori non vengono misurati in altezza, nemmeno i portieri, come succede ahimè in Italia, tranne che da parte di addetti ai lavori coscienti e preparati. E la storia della Juventus è qui ad ammonirci, coi vari Sernagiotto, Bo, Muccinelli, per non citare il solito ruggente Furino, che la statura nulla ha da dividere e condividere con la vera classe. E poi c’è quel tal proverbio, in botte piccola con quel che segue...
Rui Gil Soares de Barros ha appena ventitré anni, da compiere a novembre peraltro, e costituisce un grande investimento di Madama. Ha detto Boniperti, anche con i piccoli missili si abbattono le corazzate. Anche le portaerei per questo. Tutta la storia del nostro calcio celebra impestati piccoletti capaci di ogni impresa. E ora la Juve si è preso il più serio, il più professionale, il più dotato di questi piccoletti capeggiati dall’iracondo Maradona.
Prima operazione riuscita di Rui Barros; è corso a tagliarsi i capelli per ordine di Boniperti. I giornali ci hanno ironizzato. Ormai pare che senza fiumi di capelli non si possa concepire una squadra di calcio. Trecce, orecchini e via di seguito. Rui Barros no, lui accenna ad amare un braccialetto come portafortuna. E questo ci sta tutto. Anche la Juve di Combi era superstiziosa. Ricordate la narrazione che me ne fece un giorno, pateticamente nostalgica, Varglien il maggiore?
É nato a Lordelo, una manciata di chilometri da Oporto, il 24 novembre 1965, con una nidiata di fratellini, da un papà falegname. Tre fratelli e cinque sorelle hanno reso difficile e impegnativa la vita di mamma Barros. Ma lui, che cresceva poco, salvo attaccarsi subito maledettamente a una palla di stracci prima di mettersi sotto il cuscino la prima palletta di gomma, di studiare non ne aveva proprio voglia, così il padre se lo portò molto presto in bottega.
Per Gil Soares una manna, perché così tutto il tempo libero lo passava a giocare a calcio, facendosi notare per la sua velocità di piede e il suo accanimento, pur così piccolo, a quindici anni si stabilizzava sul metro e sessanta attuale, ma era già famoso e il Lordelo lo cedeva alla famosa squadra nazionale del Porto.
È il 1986. In casa Barros c’è sempre bisogno di soldi e il Porto è disposto soltanto a pagargli la nota spese, e insomma il piccoletto viene ceduto in prestito al Varzim che assegnerà al ragazzo il primo stipendio della sua vita. Che festeggia invitando al ristorante tutta la sacra famiglia.
Ragazzo bravo, Rui Barros, di sentimenti cattolicissimi, serissimo, si allena con immensa passione, e nel Varzim va come un fulmine e questo determina la risoluzione del Porto di richiamarlo e ingaggiarlo da professionista. Ora il Porto ha un allenatore dall’occhio fine, Ivic, lo stesso che quel bravuomo di Graziano non aveva capito ad Avellino. E Barros fa presto a conquistare il posto di titolare, Ivic non ha dubbi nell’affidargli le incombenze del più celebre Futre, di cui tutti parlano. Ma parleranno presto anche di Rui Barros, col suo metro e sessanta e la sua elettricità, il fosforo nei suoi piedi scatenati, gioca all’attacco e risulta inafferrabile come un folletto, con un gol splendido di volo affonda la corazza dell’Ajax nella Supercoppa, il mondo lo scopre, anche gli osservatori mandati da Boniperti. In campionato con dodici gol partecipa al trionfo del Porto. Nello stesso anno vince scudetto, Coppa portoghese, supercoppa, tutto. Chi l’aveva scartato si deve mangiare mani e il resto. E insomma, arriva pure in Nazionale, tre partite tra i moschettieri e tre tra gli olimpici. Zoff lo scopre alla guida della sua Olimpica, il terribile piccoletto fa venire il mal di testa a Galia.
Ora Rui Barros che possono chiamare quanto vogliono Rui Bassos è nella Juventus, un piccolo bruciante talento con tutte le caratteristiche del più fascinoso calcio portoghese. Non avendo molte idee, ma piuttosto tanti pregiudizi, ecco che i soliti nemici di Madama si sono scatenati con le solite frasi fatte, Il giocatore ha fatto presto a tacitare le cassandre, fin dalle prime uscite, giocando a grossi livelli ogni partita, un fulmine, una saetta.
Diciamocelo tra noi, a calcio tatticamente tanto cambiato sembrerebbe più ardua la vita dei piccoletti. Invece Ermes Muccinelli oggi si divertirebbe un mondo tra tanti armadi. E risaputo che il grande Pierone Rava tra tutti soffriva solo il piccolo pestifero Edmondino Fabbri. Intendiamoci. È un problema di classe. Il gioco del calcio è il più provvido proprio per consentire gloria a ogni soldo di cacio. Il pollicino della Juventus è pronto a scatenarsi in campionato e in Coppa. Quante corazzate affonderà?
Quando Dinomito diventa allenatore della Juventus, fa il suo nome come primo rinforzo per la squadra bianconera e venerdì 22 luglio ‘88, con una mossa che prende in contropiede un po’ tutti, la Juventus presenta Rui Barros.
Rui non ha molto tempo a disposizione per ambientarsi; dopo essere stato costretto a fare una visita dal barbiere, è già tempo di raduno. Via Filadelfia è bloccata dai tifosi, che riservano al piccolo portoghese, il saluto più caldo; sono bastate 24 ore per prenderlo in simpatia, sentimento che non lo abbandonerà mai più: «Sì, è vero, sono stato molto fortunato, potevo finire a tagliare legna, invece faccio i gol nel campionato più bello del mondo e nel mio paese sono un idolo. Io, però, non perdo mai la misura della realtà, per questo continuo a stare con i piedi per terra, ad allenarmi con umiltà e serietà. Il calcio è un mondo fantastico ma ricco di insidie».
L’avventura in bianconero comincia alla grande, in Coppa Italia; la Juventus travolge il Vicenza, 5-1, e Barros è subito protagonista, con gli assist che mandano Altobelli a segnare una tripletta. I tifosi imparano ad amare questo campione tascabile che lotta su ogni palla come se fosse quella della vita. Tanto più che in campionato Rui si fa valere con prestazioni che non ammettono repliche. Come a Bologna, partita con un risultato d’altri tempi; la Juventus schioda lo 0-0 con una giocata del portoghese e costruisce sulle sue invenzioni, una vittoria (4-3) che la rilancia dopo anni ai vertici della classifica.
Le conferme arrivano subito dopo: Barros risolve in zona gol (alla fine della stagione saranno 15 su 45 partite) e ispira i compagni, da Laudrup ad Altobelli. Una sua doppietta a Cesena, consente alla Juventus di tornare a vincere dopo mesi fuori casa. Un’altra doppietta sancisce l’ultima vittoria stagionale della Juventus a spese del Verona, con quarto posto finale.
Barros è confermato e, nella stagione successiva contribuisce in modo determinante alla doppia vittoria in Coppa Italia e in Coppa Uefa; suo, a coronamento di uno splendido contropiede, il primo dei tre gol con cui i bianconeri superano il Colonia del futuro juventino Hässler e conquistano la finale.
In campionato, una partita su tutte: 11 marzo 1990, la Juventus surclassa il Milan capolista e riapre il campionato. È un 3-0 firmato da Schillaci, autore del primo gol, e, soprattutto, dal piccolo portoghese, che segna due reti: la seconda, in contropiede, dopo una volata palla al piede di 50 metri, vanamente braccato da mezza difesa rossonera.
Alla fine, saranno 94 partite con 19 gol: «Devo ringraziare Dino Zoff; ha sempre avuto delle belle parole nei miei confronti. Ed io sono orgoglioso di avere, come tecnico, un uomo della sua statura morale e con un passato, forse, irripetibile».
Sarà ceduto a fine anno, sacrificato a un radicale quanto improvvido rinnovamento, voluto da Montezemolo e da Maifredi. Lo rimpiangeranno in molti.
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