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Gli eroi in bianconero: Romolo BIZZOTTO

di Stefano Bedeschi

Bizzotto è un gentiluomo di vecchio stampo, che non ama parlare di sé e che lega il suo nome ad una delle Juventus più forti della storia, quella dei grandi assi danesi John Hansen e Praest e del giovane Boniperti, tra il 1949 e il 1952. Due scudetti vinti, con il contributo complessivo di 46 presenze e due reti.
«Ho iniziato la carriera giocando, giovanissimo, nel Verona in serie B ed in quel periodo fui convocato anche per le Olimpiadi di Londra. Purtroppo, non scesi in campo, perché fummo eliminati alla seconda partita, dalla fortissima Danimarca, quella dei due Hansen, dei Praest, Pilmark, Jensen, tanto per gradire. Perdemmo 5 a 3 nei quarti di finale. Giocavo centromediano metodista e, dopo i Giochi, fui acquistato dalla Juventus. Era una squadra fortissima, forse la più forte di tutti i tempi; in due campionati, superammo le cento reti segnate, eravamo formidabili in attacco. Essendo, però, quella squadra formata da tantissimi campioni, furono poche le volte che scesi in campo ma, per me, era già un grandissimo vanto vestire la maglia bianconera. Poi, passai alla Spal e di lì al Palermo, alla Carrarese, alla Lucchese ed, ultimo della serie, il Rovereto. Qui terminò la mia carriera di giocatore. Infatti, un giorno si giocava la partita fra il suddetto Rovereto e l’Audace di San Michele Extra, capitanata da Mariolino Corso. Ebbene, proprio Mariolino mi superò con una facilità impressionante, facendomi passare la palla sopra la testa, con il sottoscritto fermo come una statua. Quello sgarbo mi fece intendere che, anche se calcisticamente non ero proprio da buttare (avevo 32 anni) era giunto il momento di smettere. Mi resi conto che i riflessi non erano più quelli, la velocità di esecuzione neppure e non bastava certo una buona dose di esperienza per contrastare quelle forze emergenti, quei baldi giovani che quasi ti irridevano. Allora, davanti ad una prospettiva piuttosto squallida, cioè quella di girare tutta l’Italia magari in squadrette di provincia a fare figure poco più di mediocri, decisi di appendere le fatidiche scarpe al chiodo».
Ma il Bizzotto più importante per la causa bianconera è quello che torna a Torino, in veste di tecnico, nel 1971, Prima si dedica con grande passione e competenza al settore giovanile, vincendo subito lo scudetto “Primavera” nel 1972; poi, come “secondo” dell’allenatore di turno (prima Vycpalek, poi Parola, infine Trapattoni).
«La mia esperienza di tecnico la iniziai nel 1958, alla guida del Rovereto, in quarta serie. Fui poi al settore giovanile del Verona e di lì alla prima squadra il salto fu breve. Dopo una parentesi con il Rimini, la lunga permanenza alla guida della Reggiana: cinque anni, con parecchie soddisfazioni. Ed infine, Reggio Calabria, una esperienza breve e tutto sommato deludente, da cui per tante ragioni non ottenni i risultati sperati».
L’intesa con Vycpalek é perfetta. La competenza di Romolo, detto “Momo” sin dai tempi di calciatore, è fuori discussione; Tra i suoi compiti, sin da allora, uno dei più delicati è quello di visionare le avversarie della Juventus, tanto in campionato che in Coppa. È un lavoro impegnativo e scomodo, visto che obbliga Bizzotto a viaggiare continuamente, due o tre volte la settimana nei momenti di punta. Le relazioni di Bizzotto sono sobrie e concise, in perfetta sintonia con il personaggio.
Un anno importante, il 1971-72, anche per altre ragioni; Bizzotto siede in panchina nel giorno del grande lutto di Vycpalek, accorso a Palermo dove una sciagura aerea gli ha strappato il figlio primogenito. I tifosi juventini si accorgono di questo tecnico garbato e signorile, di misurata compostezza, che pilota la squadra nel decisivo successo sul Cagliari, passaggio obbligato per la conquista del quattordicesimo scudetto.
«Una giornata indimenticabile per tutti noi; dall’angoscia alla gioia per il grande risultato ottenuto. Non fu certo merito mio se la Juventus superò il Cagliari; non feci che seguire le istruzioni dell’allenatore ed i ragazzi fecero la loro parte con grandissima determinazione. Ma fu comunque una grossa soddisfazione, pari soltanto a quella dello scudetto “Primavera”».
La situazione non cambia con l’arrivo dì Carlo Parola. Anzi, l’antica amicizia di Bizzotto con l’ex grande centromediano juventino ed azzurro, facilita ancor di più il compito di entrambi. Nella nuova Juventus che nasce a Villar Perosa, nell’estate del 1974, Bizzotto, pur dietro le quinte, ha un compito fondamentale. Sul piano umano, il suo rapporto con i giocatori è ottimo. I suoi giovani, i nuovi arrivati come Scirea, trovano con questo tecnico, che proprio con i giovanissimi ha forgiato la propria esperienza di allenatore, un supporto prezioso.
Poi, arriva Trapattoni. Ad attendere il nuovo mister, nel 1976, ed a collaborare strettamente con lui, c’è sempre più che mai Bizzotto. È ormai parte della squadra, della società, dell’ambiente.
«Il “Trap” l’avevo già conosciuto come giocatore e mi era sempre piaciuto il suo modo di stare in campo, la sua grinta ma, nello stesso tempo, la sua lealtà e le sue dichiarazioni sempre pulite, sincere. Un giorno, Boniperti mi disse che aveva assunto Giovanni come allenatore, pregandomi di recarmi con lui a Villar Perosa per mostrargli gli impianti sportivi e, nello stesso tempo, perché facessi una conoscenza più approfondita del personaggio con cui avrei dovuto lavorare. Trapattoni mi espose le sue idee, i suoi programmi, i suoi progetti, facendomi subito un’ottima impressione; abbiamo legato subito e, così, è iniziata una grande collaborazione».
Bizzotto è una presenza tanto discreta quanto insostituibile. Qualcun altro, dopo aver fatto tanta anticamera, chiederebbe più spazio ed attenzioni, oppure accetterebbe al volo qualcuna delle tante proposte che gli arrivano, per trasferirsi ad allenare altre squadre. Ma Bizzotto non si lascia neppure sfiorare dal dubbio. La Juventus è la sua casa, la sua seconda famiglia: “Momo” se la tiene ben stretta e Boniperti si tiene ben stretto lui. Fino alla pensione, che, se chiude la sua lunga vicenda di allenatore, non interrompe di certo il suo amore per la maglia bianconera.
«È stato un vantaggio, per noi “ex” juventini, trovarsi a lavorare in un ambiente già conosciuto e, dunque, ci siamo ambientati con maggiore facilità. Ma è strato un vantaggio ancor più grande per la Juventus; il nostro sviscerato amore per i colori bianconeri, infatti, ci ha sempre spinto a dare alla Juventus, oltre al meglio di noi stessi, anche quel “di più” che forse altri, estranei, non sarebbero stati in grado di dare».


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