Gli eroi in bianconero: Roberto TRICELLA
Roberto Tricella è nato a Cernusco sul Naviglio, in provincia di Milano, “il paese dei liberi”, così chiamato, perché ha dato i natali a tre grandi giocatori, accomunati dal ruolo, tutti quasi contemporaneamente sui campi di Serie A: Gaetano Scirea, Roberto Galbiati ed, appunto, Tricella. A molti parve naturale che, sul finire della carriera dell’immenso Gaetano, la Juventus gli affiancasse il migliore degli altri due compaesani, quel Roberto Tricella che nel 1987, anno del passaggio in bianconero, era nel pieno della maturità calcistica.
Dopo gli esordi nell’Inter e l’affermazione nel Verona dello storico scudetto, Tricella è un libero affermato e stimato. Elegante nello stile di gioco, si inserisce presto e bene negli schemi di una squadra che lui stesso, oggi definisce di transizione.
«Quella juventina è stata per me un’esperienza fondamentale. Ne conservo ricordi molto positivi dal punto di vista umano, mentre ho qualche rammarico per i risultati, che non sono stati tutti favorevoli; abbiamo vinto poco, tranne l’ultimo anno, quello con Zoff, il 1989/90. Abbiamo vissuto un periodo di mezzo, fra i grandi successi della Juventus precedente e quella di Lippi, ma oggi, preferisco sottolineare i ricordi di quell’ambiente, di tutti i compagni. Comunque, anche se forse più di tanto non potevamo vincere, eravamo pur sempre la Juventus e per me fu un’enorme soddisfazione giocare nel club bianconero. Anche perché c’era già Scirea, come compagno di squadra e dopo come allenatore; una persona ed un amico indimenticabile, un esempio: perché è stato il più grande libero di sempre. A volte si fanno paragoni fra lui e Baresi, io sostengo che Franco è stato un gradino sotto “Gai”».
Libero elegante, puntuale, preciso. mai sopra le righe, ordinato e con una grande visione di gioco. «Sono stato un buon giocatore, che ha cercato di supplire con il tempismo al fatto di non essere particolarmente veloce».
Roberto, oggi, non vive di solo calcio: «Ma è perché ho un’attività che mi assorbe molto. Lavoro nel campo immobiliare, ho una società che acquista terreni e costruisce e vende appartamenti: questo da quando ho smesso con il pallone. Vado allo stadio molto raramente, seguo qualche partita in televisione, mi sento con qualche ex compagno, come “Gigi” De Agostini, che era a Verona con me e che passò alla Juventus nello stesso mio anno. Ho due figli, uno juventino ed uno milanista, che giocano a pallone all’oratorio. Non penso, oggi, se potranno avere un futuro come calciatori. L’importante è che facciano sport e che si divertano e che lo sport rappresenti per loro una palestra di vita.
Oggi, purtroppo, i giovani non sono quasi più abituati a conquistarsi le cose, sembra che tutto sia loro dovuto, che tutto sia scontato, invece lo sport aiuta a capire che gli obiettivi si raggiungono con la fatica. Poi, semmai, potranno seguire il mio percorso e comprendere anche quanto sia bello il calcio e quante bellissime emozioni possa regalare. Io sono stato fortunato a viverne tante, a giocare ed a rimanere un ragazzo fino oltre i trent'anni».
Queste frasi sono molto meno banali di quanto sembrino e convincono sempre di più che il buon Roberto Tricella sia stato un calciatore di grandi qualità umane, ma di modeste qualità atletiche; è arrivato a lambire i vertici del ruolo, rimanendo tuttavia escluso dal gotha, per le ragioni dette prima: i limiti atletici (in campo aperto era in costante imbarazzo, di testa se la cavava col tempismo, ma non è certo stato un gran colpitore) e la mancanza della giusta dose di cattiveria ed agonismo sono evidenti. Lo si può considerare una specie di Scirea minore, ma con una dote decisiva in meno: la personalità.
Ma è stato un professionista serio e non ha mai lesinato l'impegno; il fatto che sia stato anche capitano, testimonia quanto fossero bui i tempi del dopo Michel ma Roberto di questo non ha, ovviamente, alcuna colpa.
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