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Gli eroi in bianconero: Pedro SERNAGIOTTO

di Stefano Bedeschi

A soli cinquantasette anni – scrive Umberto Maggioli su “Hurrà Juventus” dell'aprile 1965 – è mancato improvvisamente a San Paolo del Brasile, dove era nato nel novembre 1908, Pietro Sernagiotto, calciatore che ha onorato lo sport sui campi di gioco del vecchio e del nuovo continente, italiano di stirpe, brasiliano di nascita, juventino di adozione. Di lui nell’ambiente bianconero è stato e sarà sempre vivo il ricordo: sia di uomo che di giocatore.
Calcisticamente si era formato in quella magnifica fucina che fu la Palestra Italia, società paulistana che accoglieva la parte migliore della nostra colonia di emigrati in terra brasiliana: magnifica fucina di atleti e di patrioti che avevano il culto della loro terra di origine.
Già in Brasile Pietro Sernagiotto, figlio di friulani che avevano cercato fortuna oltre oceano, godeva di notevole celebrità e gli sportivi di laggiù, per la sua distinzione e autorevolezza di personalità, anche se emanava da fisico di proporzioni alquanto ridotte, gli avevano affibbiato un soprannome che gli calzava a pennello. Era Ministrinho: ossia piccolo ministro, come se la fama sportiva dovesse andare di pari passo con quella politica. Anche se il ragazzo non si fosse mai immischiato, né avesse accennato di volerlo fare, nelle faccende inerenti la politica.
Ma oltre tale nomignolo i fans brasiliani gliene avevano coniato un altro: molto più azzeccato e giustificato dai fatti. Era anche Flecha de Oro, freccia d’oro cioè. La minuscola ala destra con il suo gioco caratteristico suscitava, infatti, l’immagine di un dardo scoccato da un’invisibile balestra. Caratteristico era, infatti, il suo scatto fulmineo che lasciava quasi sempre in asso ogni più attento avversario addetto alla sua marcatura; la partenza da fermo di Pietro Sernagiotto appariva infatti sorprendente e nessun difensore riusciva a prevederla e prevenirla. Era anche molto veloce, ma si trattava di una velocità iniziale che, dati i ridotti mezzi fisici del soggetto, non riusciva a essere mantenuta a lungo.
Molti sportivi che ricordano bene Ministrinho non avranno dimenticato certi caratteristici duelli che nel periodo in cui giocò in Italia ingaggiò con un mediano laterale che oltre magnifico calciatore era anche perfetto cultore di atletica leggera, versato in modo particolare nella velocità pura e negli ostacoli: Alfredo Pitto. Ministrinho spesso sorprendeva, piantava Pitto e se ne andava sgambettando turbinosamente lungo la linea laterale, ma l’altro si riprendeva immediatamente, partiva all’inseguimento e non lasciava allontanare troppo il pericoloso rivale e, se Freccia d’oro non riusciva a passare il pallone al compagno meglio postato, l’Alfredo riusciva ad avere ragione del Pietro.
La Juventus si assicurò i servigi di Sernagiotto sul finire del 1930. Tra la società bianconera e la direzione della Palestra italia, gli accordi erano stati definiti e il giocatore s’imbarcò per la traversata dell’Atlantico. A Genova era andato ad attendere il nuovo acquisto l’Ing. Benè Gola, delegato dalla presidenza, il quale dando il benvenuto allo sbarco al nuovo giunto ebbe la sgradita sorpresa di venire a conoscenza che, durante la navigazione emissari di altra società italiana, che non staremo qui a ricordare poiché si tratta di avvenimenti lontani e oramai quasi dimenticati, avevano carpito la buona fede del ragazzo e gli avevano fatto firmare un altro cartellino di tesseramento. Ciò dimostra quanto Pietro Sernagiotto fosse anima candida e incline a pensare che tutti i suoi simili agissero rettamente e senza secondi fini.
Il fatto suscitò scalpore e i nostri dirigenti federali non poterono ignorarlo: risultato ne fu che Pietro Sernagiotto si vide comminata la squalifica di un anno, che dovette scontare quasi per intero. Nel periodo della punizione la Juventus usufruì del giocatore negli incontri amichevoli non ufficiali e l’attività completa del nuovo acquisto si ebbe nelle stagioni 1932-33 e 1933-34, che coincisero esattamente con la conquista di altrettanti titoli nazionali riusciti alla Juventus nel periodo del cosiddetto ruggente quinquennio.
Ministrinho era un’ala destra di elevate possibilità; senza assurgere addirittura al valore di autentico fuoriclasse il suo peso, se non fisico, ma esclusivamente tecnico, lo faceva sentire nel rendimento generale dell’undici. Adoperava indifferentemente i due piedi e i suoi passaggi erano sempre sfruttabilissimi per esatto indirizzo e dosatura; i tiri poi riuscivano spesso micidiali, e per la giusta direzione cui erano avviati ed anche per la potenza più che notevole che sempre avevano. Flecha de oro, la cui altezza era di 1,53, con peso e muscolatura proporzionati, era un tiratore poderoso che lasciava perplessi quanti lo osservavano e che stentavano sempre a rendersi ragione come da tanta modestia di mezzi fisici ne potessero uscire effetti tanto rovinosi per i portieri avversari. Nelle tre stagioni che Ministrinho passò nelle file bianconere ebbe modo di giocare cinquanta partite di campionato, realizzando quindici segnature, esattamente quante ne riuscirono ad altra ala, sinistra però, ossia Stivanello.
Di carattere franco e gioviale Pietro Sernagiotto ebbe amici ed estimatori nell’ambiente juventino. In squadra i suoi amici più intimi, e sicuri, furono Luisito Monti e Bertolini, che si assunsero anche l’incarico di suoi alti protettori. Per quanto Sernagiotto fosse subito riuscito ad affermarsi nell’ambiente calcistico nazionale e bianconero ebbe sempre un po’ la strada chiusa: nella Juventus da Federico Munerati, nella Nazionale da altri, come un altro italo brasiliano, Guarisi, e l’italo argentino Guaita; ebbe tuttavia anche l’onore di essere chiamato dal commendator Vittorio Pozzo all’onore della maglia azzurra, giocando la sua unica partita quale Nazionale il 22 ottobre del 1933, quando la nostra formazione B chiuse in pareggio, per 4-4, con l’undici B ungherese a Vercelli; e con Sernagiotto figurarono nella nostra prima linea anche Silvio Piola e Nereo Rocco. Alla fine del primo tempo gli azzurri vincevano per 3-1, ma i magiari riuscirono a riequilibrare le sorti per loro compromesse.
Sernagiotto si sposò a Torino quando fece giungere da San Paolo la sua graziosa fidanzata, e a Torino nacque anche il suo primogenito. Altri due rampolli ebbe dopo il suo rientro in Brasile, che avvenne all’inizio del 1935. Meticoloso amministratore delle proprie sostanze ed economo di carattere aveva messo in disparte un discreto gruzzolo che gli fu prezioso al suo rientro per dedicarsi al commercio delle calzature, che era sempre stata attività familiare. Dopo la Juventus giocò ancora un paio di stagioni nella sua squadra di origine, che da Palestra Italia si era intanto trasformata in Palmeiras e che figura tuttora tra le più importanti organizzazioni calcistiche della Lega Paulistana.
Pietro Sernagiotto, che è stato sempre cittadino italiano, aveva serbato un ricordo appassionato della Juventus e accoglieva sempre con grande cordialità tutti quegli amici juventini che talvolta avevano occasione di recarsi in Brasile e a San Paolo, non mancando mai di recarsi a fargli visita. Appariva lievemente ingrassato e aveva sempre goduto di perfetta salute.
L’ultimo juventino che lo aveva visto e salutato circa nove mesi fa è Cornelio Giordanetti che, come tutti gli juventini e non juventini sanno, è stato sempre una specie di ambasciatore bianconero in terra brasiliana e che era andato a salutarlo nel grande e ben fornito negozio di calzature che Pietro Sernagiotto possedeva in un rione quasi centrale della metropoli brasiliana. Stava bene, appariva poco invecchiato e godeva di una discreta agiatezza tra gli affetti familiari. Niente lasciava presagire una fine repentina e così prematura.
Un altro bianconero se n’è andato, ma è un altro bianconero che tutta la grande famiglia della Juventus ricorda e ricorderà sempre. Finché juventini seguiteranno a vivere in questo mondo: e pensiamo ve ne saranno sempre.
 


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