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Gli eroi in bianconero: Michel PLATINI

di Stefano Bedeschi

L’avventura juventina di Michel Platini comincia il 30 aprile del 1982; è l’ultimo giorno utile per tesserare il secondo straniero e la Juventus ha già scelto Zbigniew Boniek. Boniperti, nonostante la Juventus sia a tre giornate dalla fine del campionato, decide di scaricare Liam Brady, l’irlandese prelevato dall’Arsenal due anni prima, e di puntare sull’asso francese.
L’avvocato Agnelli ha scoperto Michel due mesi prima ed è convinto che Platini è l’uomo giusto per avviare un ciclo europeo della Juventus, gran vuoto della storia bianconera. Agnelli parla della sua idea con Boniperti e con Trapattoni, e, nonostante qualche perplessità, sono tutti d’accordo.
Michel non vede l’ora di arrivare a Torino, nonostante le sirene del Real Madrid, dell’Arsenal e del Bayern Monaco. I suoi nonni lasciarono l’Italia nel 1919, erano di Agrate Conturbia, un piccolo centro del Novarese, a pochi chilometri da Barengo, la patria di Boniperti.
Platini sbarca a Torino quel pomeriggio, il suo è un vero e proprio blitz: discute il contratto, firma e rientra subito in Francia. La Juventus vorrebbe tenere segreta la notizia, nel timore di negative ripercussioni sul morale di Brady e della squadra, impegnata la domenica dopo nell’insidiosa trasferta di Udine. Ma qualcosa filtra da Parigi, Boniperti e, alle 19 e 30 di quel venerdì, è costretto a dare l’annuncio. Brady è scaricato in pochi minuti, ma offre una lezione di altissima classe e professionalità: a Udine è il migliore in campo e la Juventus conquista una nettissima vittoria per 5-1, con un goal di Paolo Rossi, che rientra proprio quel giorno, dopo la squalifica per il calcio-scommesse. Nell’ultima decisiva partita di Catanzaro, il 16 maggio, realizza il rigore che vale vittoria e scudetto.
Racconta un giornalista francese amico di Michel: «Squilla il telefono rosso e una voce ci dice che Platini sta partendo per l’Italia. L’informatore è anonimo, ma solo un tecnico dell’aeroporto di Lyon poteva darci una soffiata del genere. Così, noi siamo stati i primi a sapere del viaggio di Platini a Torino, a bordo di un Petit Cessna a quattro posti. Quando abbiamo rilanciato la notizia in Italia, nessuno voleva crederci. Per convincere un giornale di Milano, poiché nel frattempo avevamo raggiunto Michel nello studio di Boniperti, abbiamo dovuto far ascoltare la registrazione delle voci di Platini e Boniperti. Il giornalista milanese, che non voleva crederci, era addolorato, perché continuava a dire che era impossibile, perché Platini era stato acquistato dall’Inter!».
Boniperti, appena firmato il contratto, gli dice: «Adesso che è della Juventus, deve tagliarsi i capelli». Michel risponde: «Ha forse paura che mi possono cadere?».
Platini lascia il Saint-Etienne, dopo amare sconfitte: perde il campionato all’ultimo turno, a vantaggio del Monaco, e perde la Coppa di Francia in un’incredibile finale contro il Paris St.Germain. Mondiali di Spagna: la Francia di Platini è quarta, la Polonia di Boniek terza e l’Italia, con sei bianconeri titolari, è Campione del Mondo. I tifosi sono in delirio: si parla di scudetto con sessanta punti e attacco da più di cento goal! La Coppa Campioni? Una formalità.
La realtà, purtroppo sarà molto diversa: il Mondiale ha svuotato molti giocatori e Trapattoni deve subito fare i conti con un’infinità di problemi. Il più grande è l’inserimento, tecnico e ambientale, di Boniek e Platini. Il francese capisce quasi subito che la Juventus non è quella squadra perfetta che aveva immaginato.
La prima partita ufficiale è Catania-Juventus, Coppa Italia, 18 agosto del 1982. Finisce 1-1, è di Marocchino il goal del pareggio. Contro il Pescara, a Torino, il 22 agosto, Platini segna il primo goal ufficiale. La Juventus vince 2-1, il goal di Michel arriva dopo sette minuti, con un pallonetto a scavalcare i difensori abruzzesi e con un tocco volante d’esterno destro a infilare il portiere Bartolini in uscita.
L’esordio in campionato, però, è un disastro, la Juventus perde a Genova, contro la Sampdoria neopromossa, 1-0, segna Ferroni, Platini, come tutto l’ambiente bianconero, è perplesso; Brady, ceduto proprio ai blucerchiati, è il migliore in campo. Una settimana dopo, primo goal e prima vittoria, Juventus-Cesena 2-0, un sinistro che inganna Recchi.
Sono mesi durissimi per Platini: è tormentato dalla pubalgia, discusso, talvolta contestato, viene persino considerato un lusso che la Juventus non può permettersi! La verità è che tutta la squadra è in crisi, il Mondiale ha lasciato segni profondi, ma la colpa è addossata ai due stranieri. Proprio in questo periodo, nasce la loro grande amicizia; Platini è molto amareggiato, polemizza con Trapattoni sullo schieramento, a suo parere, troppo difensivo della squadra. Boniperti lo prega di tacere, di non creare delle polemiche attorno ad una squadra largamente inferiore alle attese. A dicembre Platini si rivolge a uno specialista per curare la pubalgia; in Francia dicono che sta per lasciare la Juventus, deluso e ferito dall’esperienza compiuta. In effetti, la squadra bianconera è staccatissima e deve dare l’addio definitivo allo scudetto addirittura a gennaio.
Dopo Juventus-Sampdoria, prima di ritorno, 1-1 Brady ancora una volta è il migliore in campo. L’avvocato Agnelli (che quando Platini arrivò in Italia, fece trovare alla moglie Christelle, nella camera di albergo, un enorme mazzo di rose con un bigliettino su cui era scritto: «Benvenuta in Italia») è furioso e sbotta: «Se Furino è il regista della nuova Juventus, è inutile farsi illusioni».
È la prima svolta. Trapattoni rivoluziona il centrocampo della Juventus, Bonini sostituisce Furino e la squadra è affidata a Platini. Michel sta guarendo dalla pubalgia e sembra un altro, a febbraio inaugura una girandola di prodezze straordinarie: goal a raffica, quattordici in nove partite, diventa capocannoniere, porta la Juventus alla finale di Coppa dei Campioni. E, con lui, esplode anche Boniek. Il popolo juventino è estasiato, sogna la Coppa, ma Atene boccia senza pietà quella Juventus sbagliata. Vince l’Amburgo, davanti a 60.000 italiani. 1-0, goal di Magath al nono minuto e Platini torna sul banco degli imputati. Non è un leader e il fallimento della Juventus diventa il fallimento di Platini.
Ma dopo Atene si apre per lui e per la Juventus la serie delle grandi vittorie. Quasi da solo, conquista la Coppa Italia, ribaltando nella finale di ritorno con il Verona, la sconfitta dell’andata (0-2), firma due goal, il secondo dei quali a sessanta secondi dalla roulette dei rigori. Michel non si ferma e conduce la Juventus alla vittoria al Mundialito per club, a San Siro.
È entrato così nel cuore dei tifosi, prepara le rivincite fin dal raduno della stagione successiva. Ha finalmente capito tutto della Juventus e del calcio italiano; Boniperti gli affida una squadra rinnovata, non ci sono più Zoff, Bettega e Furino, tocca a Penzo, Vignola e Bonini. Platini parte fortissimo, un goal dopo l’altro, scudetto e secondo titolo di capocannoniere.
È l’anno che porta agli Europei, che si giocheranno proprio in Francia, Platini da spettacolo ovunque, quando la Juventus si ritrova sola, al comando della classifica, a metà dicembre, Platini confessa: «Ho inseguito per un anno la Roma, sembrava inafferrabile, ora dico che è proprio una gran bella sensazione stare in testa al campionato, non c’ero mai riuscito in Italia, ma ne valeva la pena».
A Natale, vince il primo Pallone d’oro; è premiato il giocatore, non la squadra, la Juventus ha vinto poco, ma Platini ha convinto tutti. Ha mille impegni: lavora in TV, segue la sua scuola di calcio a Saint-Cyprien, nel Sud-Ovest della Francia, cura altri affari, e a ogni partita lascia la sua impronta. A febbraio, rinnova il contratto con Boniperti. E il 26 dello stesso mese, gli regala la vittoria nel derby di ritorno con una doppietta memorabile, dopo l’iniziale vantaggio granata ottenuto da Selvaggi. Prima batte Terraneo con un’incornata degna di Charles (la frase è di Boniperti) e poi si ripete con una punizione semplicemente perfetta.
La Juventus vince lo scudetto numero ventuno. Allo stadio Olimpico, il 15 aprile, dopo Roma-Juventus 0-0, Platini può tirare un sospiro di sollievo. «È fatta, finalmente!» La Juventus raggiunge anche la finale della Coppa delle Coppe dopo una sofferta semifinale con il Manchester United. A Basilea, il 16 maggio 1984, la squadra bianconera batte il Porto, 2-1, di Vignola e Boniek i goal, Platini può farsi notare poco, è una partita molto difensiva, e poi Michel ha oramai la mente agli Europei.
In quel fantastico 1984 di Platini, gli Europei occupano un posto molto importante; in ottanta anni, la Francia, che ha inventato competizioni e premi, non ha mai vinto niente. Platini sente di essere alla vigilia dell’appuntamento più importante della carriera, sente di avere una responsabilità enorme e una convinzione: non fallirà.
In cinque partite, Platini offre tutto se stesso e offre giocate di altissima classe. Segna nove goal: uno alla Danimarca, tre al Belgio, tre alla Jugoslavia, uno al Portogallo (il goal del 3-2 in semifinale al 119’) e uno alla Spagna, nella finalissima, complice il portiere Arconada. Parigi è in delirio per Platini, è la sera del 27 giugno 1984. Platini è distrutto ma felice; il titolo di Campione d’Europa gli vale, al di là di tutto il resto, il secondo Pallone d’oro. Si sprecano i paragoni, tecnici ed esperti mettono oramai Platini tra i primissimi di tutti i tempi, davanti a Schiaffino, a Sivori e ad altri geni, in linea con Cruijff e con Di Stéfano, alle spalle del solo Pelé.
La seconda metà del 1984 riserva qualche amarezza, la Juventus non è la stessa corazzata del campionato precedente, lui neppure; il Verona è subito lontano, stavolta i goal del francese non bastano, il campionato è un calvario, resta solamente l’agognata Coppa dei Campioni. Platini si conferma capocannoniere segna diciotto goal, precedendo Altobelli e uguagliando il record di Nordahl, vincitore, ma trent’anni prima, per tre anni consecutivi della classifica dei cannonieri.
La peggiore Juventus dell’era “bonipertiana”, arriva sesta, addirittura fuori dalle Coppe Europee, trentasei punti in trenta partite, con Rossi, Boniek e Tardelli in partenza. Platini conduce la Juventus alla terza finale europea in tre anni, grazie anche a una splendida partita contro il Bordeaux. Ora sulla strada di Platini, c’è il Liverpool, battuto a Torino nella Supercoppa il 16 gennaio 1985, in mezzo alla neve: 2-0, doppio Boniek. A Bruxelles, in un clima allucinante, Platini trasforma il rigore decisivo e consegna a Boniperti il trofeo insanguinato, ma qualcosa fra lui e il calcio si spezza. Platini è avvilito, scappa in Francia, ha bisogno di riposare e di riflettere; è un uomo in crisi, avverte nausea per il calcio.
In autunno, denuncia il suo malessere. «Non ce la faccio più», esplode dopo le furibonde polemiche che seguono Juventus-Verona (2-0 a porte chiuse) di Coppa dei Campioni. Sembra stanco del calcio, ha voglia di smettere. Contrariamente alle sue abitudini, segna pochissimo, ma la Juventus vince molto e prenota lo scudetto. Il 16 novembre, la Francia batte la Jugoslavia con due suoi capolavori al Parco dei Principi, il 2-0 qualifica la squadra transalpina al terzo Mondiale consecutivo.
Platini sente scattare una molla dentro di sé; deve decidere il suo futuro, da Ginevra il Servette lo tenta con mille premure, potrebbe giocare in un campionato assai meno stressante di quello italiano. Ma Michel ha un grande dubbio: meglio chiudere con il calcio ai massimi livelli oppure continuare anche dopo il Mondiale messicano?
La Juventus vola a Tokyo, l’8 dicembre e vince la Coppa Intercontinentale, Platini firma il penalty risolutivo, chiude l’interminabile ma bellissima, sfida con l’Argentinos Juniors. Platini torna a sorridere: «Questa partita mi ha insegnato che il calcio è ancora una cosa splendida!»
Il 1985 si chiude nel segno di Platini: due goal al Lecce, uno alla Sampdoria, la Juventus è sempre più sola in testa alla classifica. Da Parigi, arriva il terzo Pallone d’oro. Mezza Europa è alla caccia di Platini; arrivano proposte da Barcellona, da Parigi, dall’Inghilterra e persino dal Napoli e dal Milan. Platini è titubante, non riesce a decidersi, ma lascia capire di essere orientato verso il terzo “sì” alla Juventus. Rinvia l’annuncio un paio di volte, ma il rinnovo arriva, per la gioia di tutto l’ambiente bianconero
Arriva lo scudetto, ma la Juventus sta per iniziare un ciclo negativo, che la vedrà senza vittorie in campionato per quasi un decennio. Trapattoni va all’Inter, arriva Marchesi; in campionato splende l’astro di Maradona e lo scudetto va a Napoli. La Juventus gioca una stagione anonima, subito eliminata dalla Coppa dei Campioni, non è quasi mai in lotta per lo scudetto. L’ultima partita del campionato 1986-87 è l’ultima di Michel: una malinconica pioggerellina scende sullo stadio Comunale a salutare Michel Platini che, per l’ultima volta, veste la maglia bianconera. Una pioggerellina che copre le lacrime di Michel e di tutti i suoi tifosi.
«Con la maglia bianconera ho vissuto i momenti più belli della mia carriera: due scudetti, una Coppa dei Campioni (in una serata tristissima), una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea e una Coppa Intercontinentale in cinque stagioni. Sono successi che un calciatore può raggiungere solo se gioca in una grandissima squadra. Ma non è soltanto per i trofei conquistati che sono orgoglioso di aver coronato la mia carriera giocando nella Juventus: è anche la consapevolezza di appartenere, per tutta la vita, a uno dei pochi miti dello sport. Per me Juventus vuol dire storia del calcio. Una storia fatta da squadre indimenticabili e da giocatori che con il loro agonismo e la loro genialità hanno scritto alcune delle pagine più belle e importanti nel libro del calcio mondiale. Juventus vuol dire cultura e stile che distinguono i dirigenti, gli allenatori e i giocatori juventini. Infine, Juventus vuol dire passione e amore: la passione che unisce i milioni di tifosi in tutta Italia, in tutto il mondo; l’amore per la maglia bianconera che esplode nei momenti di trionfo e non diminuisce in periodi meno felici».
 


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