Gli eroi in bianconero: Mark IULIANO
«Mi fanno la stessa domanda da vent’anni. Al supermercato, in banca, dal dentista. Una volta all’aeroporto mentre facevo pipì. Siamo caduti insieme. In alcuni casi, è stato dato anche sfondamento. In un’azione così veloce, pochi avrebbero fischiato il rigore: io no, perché sono tifoso juventino. Nessuno ricorda nient’altro, né che l’anno prima segnai il goal scudetto all’Atalanta. Restiamo solo io, Ronnie e il replay. Scherzando, dico che mi ha reso immortale».
Mark Iuliano ricorda sorridendo quell’episodio che, come capita a volte nel calcio (basti ricordare Turone e il suo goal fantasma), ha caratterizzato tutta una carriera. La sua grande occasione arriva nell’estate del 1996: lo chiama la Juventus, che gli infila addosso la maglia numero tredici e lo fa volare verso lo scudetto, la Supercoppa Europea e la Coppa Intercontinentale. Dopo tante retrocessioni, Mark è letteralmente scaraventato nel football mondiale.
«Non dimenticherò mai il mio esordio juventino – racconta – avvenuto al Delle Alpi, contro il Manchester in Champions; lo stadio pieno, le maglie rosse dei Red Devils, noi che vincevamo e loro che attaccavano per recuperare. Lippi mi dice di togliermi la tuta; le gambe mi tremavano, sarebbe sciocco non ammetterlo, ma poi, quando sono entrato in campo, tutto è passato ed ho cercato di dare il meglio, aiutato anche dal fatto che sono un tipo tranquillo. È stata una stagione straordinaria; vinciamo lo scudetto con un mio goal a Bergamo, vinciamo la Coppa Intercontinentale, la Supercoppa Europea. Peccato solo per la finale di Monaco; per me, è un ricordo bellissimo, considerato che l’anno prima giocavo in Serie B, ma anche bruttissimo, perché la partita andò molto male. Merito al Borussia, certo, ma sono convinto che, se giocassimo altre dieci volte quella partita, non la perderemmo più».
Smaltita la delusione, per la Juventus e per Mark, sono nuovi trionfi. Non è più titolare fisso, ma la sua parte la fa sempre. È difensore arcigno, estremamente pratico anche se poco bello da vedere. Si disimpegna a dovere in qualsiasi ruolo arretrato, sia che si giochi a tre, a quattro o a cinque. Il suo avversario non ha certamente vita facile per liberarsi dalla sua ferrea marcatura. Nell’estate del 2005, dopo aver indossato per ben 286 volte la maglia bianconera, aver realizzato sette reti e aver vinto ben otto trofei, decide di emigrare in Spagna, al Mallorca di Cuper.
«A Torino sono cresciuto e diventato uomo, grazie alla società ai tifosi e ai miei compagni di squadra; i miei anni in maglia bianconera, durante i quali ho vinto tutto, saranno sempre i miei ricordi più belli. Alla Juventus ho imparato a gestire le sconfitte: tre finali di Champions, uno scudetto sfumato sotto la pioggia a Perugia due mesi prima dell’Europeo svanito al Golden-Gol. Ma noi non abbiamo mai pianto. Ecco, alla Juve ho vinto tanto e ho imparato a perdere. Dopo la Juventus non aveva senso giocare in Italia con un’altra maglia, non mi sembrava giusto e non avevo gli stimoli necessari; ho scelto la Spagna, lottando per la salvezza e riuscendo a conquistarla, dopo notevole difficoltà».
«Mio figlio è stato un grande difensore – racconta il padre Alfredo al sito Valderrama.it – non ha avuto la stampa favorevole di cui godevano altri grandi centrali di quegli anni. Non era considerato come Cannavaro, Nesta o Montero. Tuttavia ha giocato stagioni intere allo stesso livello di questi campioni idolatrati da tutti. Faceva parte della grande scuola dei difensori italiani degli anni Novanta. Ha segnato il goal scudetto a Bergamo, nel 1997. Nel centesimo anno della Juventus. Mio figlio è l’uomo che ha consegnato ai bianconeri lo scudetto del centenario. Noi possiamo anche essere empirici e razionali ma credo che il destino ci sia. Qualcosa di inafferrabile per la mente umana. Mark arriva da Campagna, dove non c’era neanche una scuola calcio e fa il goal del centenario. È stata veramente una favola. Una bella favola».
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