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Gli eroi in bianconero: Marcelo SALAS

di Stefano Bedeschi

Nato a Temuco in Cile, debutta nella prima divisione cilena nel 1994, appena ventenne, con la maglia dell’Universidad de Chile. Il suo primo campionato è strepitoso: venticinque partite e ventisette goal. Nelle stagioni successive, però, deve fare i conti con una maturità calcistica che tarda ad arrivare e anche con la sfortuna: nel 1995 disputa ventisette partite e realizza diciassette reti, mentre nel 1996 gioca appena dieci gare andando a segno solamente cinque volte. «Come tutti i ragazzi sudamericani, vivevo di pane e calcio. Mia madre doveva venirmi a cercare per riportarmi a casa, altrimenti potevo rimanere attaccato al pallone per tutto il giorno. La mia prima squadra è stata quella del quartiere, il Santos. Dopo un po’ di tempo, ebbi la possibilità di entrare nella rosa del Deportivo Temuco. Così, mi trovavo a giocare il mercoledì e la domenica con due squadre diverse. Poi, sono passato all’Univesidad de Chile; ricordo ancora l’esordio: 13 aprile 1993. Ma la partita più bella è stato il derby contro il Colo Colo, vinta per 4-1 con tre mie reti».
Emigra in Argentina, destinazione River Plate. Nella squadra dei grandi “footballers” sudamericani inizia la vera carriera di Marcelo; in due anni mette insieme cinquantatré presenze e ventiquattro reti. I tifosi lo chiamano El Matador per gli inchini che, dopo ogni goal, dedica al pubblico, facendolo assomigliare a un torero. È un attaccante spettacolare che cerca la porta con grande determinazione, ha un modo di giocare che manda in delirio il pubblico argentino.
Nel 1997 vince il Pallone d’Oro sudamericano. Prima di lui, l’impresa è riuscita a un solo calciatore cileno: il grande Figueroa, un mito, eletto Campionissimo per tre anni consecutivi (1974, 1975, 1976) dai lettori del quotidiano “El Pais”, la voce di Montevideo, che organizza il referendum riservato ai giocatori sudamericani. «Al River giocavo con gente del calibro di Francescoli, Ortega, Gallardo e Cruz. Vincemmo tutto. Ricordo la prima volta che mi capitò di tornare in Cile; mi accolsero come un re».
La fama di Salas non può non arrivare in Europa: Juventus, Lazio, Deportivo la Coruña e Manchester United danno vita alla solita asta miliardaria. La spunta Cragnotti che, per trentatré miliardi di lire, porta El Matador a Roma. È il 13 settembre 1998 quando Salas fa il suo esordio nel campionato italiano con la maglia della Lazio; nonostante non sia sempre apprezzato dall’allenatore Eriksson, contribuisce a far diventare la squadra biancoceleste una delle migliori compagini europee. Infatti, dal 1998 al 2001, la Lazio vince la Supercoppa Italiana, la Coppa delle Coppe, la Supercoppa Europea, lo scudetto e la Coppa Italia. Gioca settantanove gare in Serie A e realizza trentaquattro goal, a cui si deve aggiungere 117 presenze e quarantotto reti nelle varie coppe.
Nonostante tutte queste vittorie, ogni fine stagione il presidente Cragnotti mette il campione cileno sul mercato; per due volte è molto vicino il trasferimento all’Inter. Quando sembra che sia cosa fatta, ecco che spunta la Juventus, complice l’ex laziale Nedved, appena acquistato dalla “Vecchia Signora” che gli racconta che a Torino si sta benissimo.
Durante l’estate del 2001, Sergio Cragnotti e Luciano Moggi impostano una trattativa in Costa Smeralda ma Marcello Lippi, allenatore bianconero, vorrebbe riportare Christian Vieri a Torino. Il ritorno alla Juventus di Bobo metterebbe Massimo Moratti in una posizione di sudditanza calcistica nei confronti della Juventus, tanto è vero che la stampa milanese solleva immediatamente sospetti e malignità, che creano difficoltà anche allo stesso giocatore.
Così, la “Vecchia Signora” si concede a Marcelo. Il passaggio di Salas in bianconero, è concluso sulla base di venticinque miliardi di lire più la cessione di Darko Kovačević, che, nonostante i goal, è considerato solo una buona riserva: «Essere alla Juventus è un premio per tutti i sacrifici fatti in passato. Mi piace molto l’ambiente che ho trovato a Torino. Una grande squadra si vede anche dalla società che ha alle spalle e, questa, è davvero eccezionale, organizzata alla perfezione».
15 settembre: il mondo è ancora sconvolto dall’attacco alle Torri Gemelle di New York, avvenuto quattro giorni prima. Ma il calcio non si ferma e a Torino scende la matricola Chievo. Dopo venti minuti i clivensi sono clamorosamente in vantaggio per due reti a zero, complice anche una “papera” di Buffon. Tacchinardi, con un bellissimo tiro al volo, rimette in corsa la Juve, che pareggia i conti con Tudor a pochi giri di orologio dall’intervallo. Al 16’ della ripresa entra Salas al posto di Trézéguet e quando, a dieci minuti dalla fine, la compagine bianconera usufruisce di un rigore, va proprio il cileno alla battuta. Tiro preciso che gonfia la rete e la vittoria è cosa fatta.
Un mese dopo è tempo di derby: nessuno lo sa ancora, ma sarà uno degli incontri più rocamboleschi della storia della stracittadina torinese. Primo tempo esaltante di una Juventus che segna tre volte: due con Ale Del Piero e una con il solito Tudor. Tutto finito? Neanche per sogno, perché il Toro gioca una ripresa da Toro: Lucarelli, Ferrante su rigore (con tanto di gesto delle corna) e Maspero riportano il match in parità. Tutti a casa felici o scontenti? Ma nemmeno a pensarlo! A due minuti dalla fine, infatti, Tudor è atterrato in area granata e l’arbitro Borriello fischia il rigore. Tutti i giocatori del Toro inveiscono contro l’arbitro, tranne uno che si avvicina al dischetto con fare furtivo. È Riccardo Maspero: l’autore del pareggio granata scava una piccola buca con lo scarpino. Salas (entrato al posto di Del Piero un quarto d’ora prima) mette la palla sul dischetto, incurante dello “scherzetto” del torinista.  Il cileno calcia fortissimo e la sfera di cuoio vola altissima sulla traversa di Bucci. Colpa della buca o Marcelo calcia male? Impossibile a sapersi, fatto sta che la Juventus butta via la vittoria in modo ingenuo e beffardo.
Una settimana dopo, durante Bologna-Juventus, il suo ginocchio cede. La diagnosi è agghiacciante: distorsione al ginocchio destro con lesione del legamento crociato anteriore, la sua stagione è virtualmente finita. Salas la prende con filosofia: «State tranquilli, sono sereno. Quando tornerò in campo, sarò più forte di prima, per compensare la passione e l’amicizia che mi hanno dimostrato i tifosi juventini».
Anche Lippi è rammaricato: «Mi dispiace soprattutto per l’uomo, Marcelo si era inserito con grande umiltà e grande serietà. Dal punto di vista tecnico il suo infortunio è gravissimo, perdiamo un giocatore di qualità, di prestigio, di esperienza».
Marcelo rientra la stagione successiva; la Juventus, però, è corsa ai ripari, acquistando Di Vaio e per El Matador gli spazi sono ristretti. Alla fine del campionato totalizza pochissime apparizioni e viene messo sul mercato. Moggi lo vorrebbe cedere allo Sporting Lisbona, in cambio di un diciassettenne attaccante portoghese che sta facendo faville nel club lusitano. È lo stesso Moggi che racconta l’episodio: «Avevamo raggiunto con lo Sporting Lisbona un accordo sulla base di uno scambio con Marcelo Salas, che poi però ha preferito trasferirsi al River Plate. Non avevamo i soldi per comprarlo e l’affare è saltato. Poi è arrivato il Manchester United con un’offerta altissima». Il nome di quel giovanotto? Il futuro CR7, ovvero Cristiano Ronaldo.
Trentadue presenze e quattro goal, queste le cifre di Salas in bianconero; ha collezionato anche sessantacinque presenze con trentacinque goal con la maglia della propria Nazionale.
 


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