Gli eroi in bianconero: Leonardo COLELLA
Per risolvere il problema del centravanti apertosi con l’involuzione tattica di Boniperti, che andava trasformandosi da centrattacco in mezzala di regia, la Juventus optò per il mercato sudamericano, puntando su Gino Orlando, punta del São Paulo ed in odore di Nazionale brasiliana. Per alcune settimane i dirigenti juventini tentarono in tutte le maniere di portare a Torino il baffuto sfondatore paulista, ma questi tentennò parecchio prima di dire un no definitivo, spaventato dai gravami fiscali che gli venivano prospettati in caso di un suo soggiorno italiano.
Gli emissari della Juventus, i signori Conti e Peccei della filiale Fiat di São Paulo, si misero allora in moto per catturare un altro giovane discendente di italiani che potesse vestire la maglia numero nove. La scelta cadde su Nardo, al secolo Leonardo Colella, un ragazzo cui veniva assegnato un sicuro avvenire.
Nato il 13 settembre 1930 da genitori italiani, provenienti da Polignano a Mare in provincia di Bari, entrò a far parte della famiglia del Corinthians già a otto anni di età. Prestato al Commercial, che disputava la massima divisione paulista, si fece le ossa e nel 1952 tornò al Corinthians nel ruolo di mezzo sinistro, alternandosi con il famoso Baltazar, al comando della linea d’attacco. Una tournée disputata con i bianconeri brasiliani nello stesso anno, in Danimarca e Svezia, lo vide protagonista di formidabili prestazioni: tiro a rete in velocità, incursioni irruente di enorme efficacia, furono le sue armi migliori per mettersi in mostra.
Vinse il titolo regionale nel 1953 e si affermò l’anno seguente nel torneo Rio-São Paulo: suoi i due goal della vittoria corinthiana sul Vasco da Gama nell’epilogo del campionato nazionale. Verso la fine del 1954 si infortunò ad una caviglia e dovette assentarsi per lungo tempo dai campi di gioco; il suo posto venne preso da Rafael, che si guadagnò rapidamente i galloni da titolare.
Posto in lista di trasferimento, chiese alla società di affrettare i tempi della sua cessione, con la Juventus in concorrenza a Santos e Botafogo. La spuntarono i bianconeri italiani, anche grazie al fatto che Nardo provava un forte desiderio di far rientro nella terra dei suoi avi; in Italia giunse subito dopo il matrimonio e con una bambina di due mesi.
Costò circa 22 milioni di lire dell’epoca ed, alle sue prime apparizioni tricolori, si alzò immediatamente grande entusiasmo per il giovane oriundo. Purtroppo il suo rendimento ebbe una veloce caduta verticale: il gioco troppo atletico non gli si confaceva e, per non perdere il posto da titolare, si riciclò come ala destra. La sue stella non brillò particolarmente, anche se con la casacca bianconera riuscì ad andare a segno sette volte in ventuno incontri.
Il suo periodo migliore si rivelò quello invernale: un fatto molto strano per un giocatore abituato a terreni asciutti ed all’erba molto alta come quelli sudamericani. Per la stagione successiva, la Juventus preferì acquistare degli attaccanti nuovi, non volendo rischiare una seconda annata deludente per il suo attacco. Leonardo Colella riprese l’aereo per il Brasile, lasciando la sensazione di una potenzialità non completamente espressa.
ANGELO CAROLI
Colella era bravo con il pallone fra i piedi. Ragazzone aperto e sorridente non dimostrò mai quanto valesse. Gli fu fatale un errore commesso davanti a Giuliano Sarti nella partita con la Fiorentina: si presentò al portiere viola, tentò un rasoterra appoggiato od un pallonetto, nessuno capì mai quella soluzione maldestra, colpì il terreno, una zolla si sollevo nell’aria, fra l’ironia crudele del pubblico, e la Fiorentina vinse per 4-0. A fine anno la Juventus non gli rinnovò il contratto. In Brasile segnò ancora tante reti, la stagione seguente una rivista specializzata pubblicò una foto che lo ritraeva mentre veniva portato in trionfo dai suoi fan.
GIANCARLO DE BETTA, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’OTTOBRE 1967
Leonardo Colella: c’è qualcuno alla Juventus che se lo ricorda ancora? Colella, che tutti a São Paulo chiamavano, allora, Leonardo e giocava di punta nel São Paulo del 1954/55, un bel giorno si trovò acquistato dalla Juventus, così come nella vita uno va a letto, la sera, povero in canna e la mattina successiva apprende dai giornali che ha vinto al Totocalcio. Così Leonardo Colella. Alla Juventus disputò una sola stagione. quella 1955/56 e segnò 7 reti, alla pari con Stacchini. 7 ciascuno, e furono i cannonieri della Juventus in quella stagione, che non fu certo una stagione fortunata. Anzi.
Quante partite giocò Colella in maglia bianconera? Arrivò a Torino intorno a Natale, faceva un freddo birbone in Italia e lui veniva con un vestitino leggero leggero e nemmeno il cappotto, da una São Paulo, dove il termometro arrivava regolarmente tutti i giorni a quota 35. In gennaio prese a giocare. E nemmeno fece tutte le partite da gennaio a giugno. Mi pare che scese in campo 12 volte, in campionato: però marcò 7 goal. E fu cannoniere (in condominio con Stacchini) quell’anno: un anno di transizione nella Juventus che stava cercando, in quel periodo, di ritornare grande come una volta.
Chi era Colella? Glielo chiedo ora, qui a Santos, dove è venuto da São Paulo a passare le vacanze d’inverno. Fa frescolino, a Santos, quando in Brasile si dice frescolino, vuol dire che ci sono almeno 18 gradi. Tanta è l’abitudine al caldo!
Leonardo Colella possiede un piccolo appartamento in rua Floriano Peixoto, al numero 117, in una specie di città di cemento armato che si chiama Predio Trabulsi, che vuol dire edificio Trabulsi, dal nome del costruttore. Colella ci viene con la moglie ed i due figlioletti. Al mare ci si va poco perché tira un certo venticello poco invitante: ma la spiaggia è bella, i ragazzi si divertono, Colella si è riposato. In agosto ha ripreso il lavoro a São Paulo, sua città natia. Seduti al bar, si rievocano quei giorni ormai lontani: «Come mai sei andato alla Juventus?»
Colella; oggi sui trentasette anni, piuttosto grasso e forte, i capelli ancora neri e fitti, un viso da pacioccone che consola guardarlo, fa una bella risata: «Direi per ripicca. La Juventus allora voleva Gino Orlando, che era centravanti del São Paulo e della Nazionale. Orlando era oriundo italiano come me, ed era anche molto bravo, assai più di me. Venne un giorno a São Paulo il direttore della Fiat, di Rio, si chiamava ing. Peccei, ed era logicamente una persona di fiducia dell’avvocato Gianni Agnelli. A São Paulo ricordo che prese alloggio all’Hotel Esplanada, un vecchio ma elegante albergo che oggi non c’è più. Si mise in contatto con un noto personaggio del mondo calcistico, si chiamava Joào Chiavone, oggi è scomparso anche lui, come Motel Esplanada. Faceva il manager, l’allenatore, l’incettatore di giocatori da mandare in Italia. Fu lui che mandò al Mantova Sormani: ma so che prima della guerra spedì in Italia almeno una ventina di giocatori di São Paulo e di Rio. Chiavone andò a trovare l’ing. Peccei insieme con Orlando. I tre iniziarono una fitta conversazione: così mi narrò più tardi lo stesso Orlando, che era mio ottimo amico. La Juventus voleva Orlando e Peccei aveva carta bianca (o quasi) per farlo suo. Ma Orlando di fronte a tanti soldi da guadagnare (il São Paulo era già d’accordo per venderlo) gli prese come un capogiro. E non accettò subito, ma chiese un po’ di tempo per riflettere. Peccei gli fece fretta perché doveva rientrare a Rio e non aveva tempo da perdere. Orlando ritornò all’albergo al pomeriggio e rifiutò la principesca offerta. Disse che la suocera non gradiva il viaggio ed il soggiorno in Italia, Peccei si infuriò, Chiavone (che vedeva sfumare una grossa percentuale) non parliamone, ma in ogni caso più gli altri pestavano i pugni sul tavolo e più lui si chiudeva come un riccio. Peccei allora disse a Chiavone: “Orlando non viene, pazienza. Io all’avvocato Agnelli ho promesso di mandare in Italia un buon giocatore. Lei che conosce São Paulo come le sue tasche, che cosa ha di buono da propormi?”. E Chiavone fece il mio nome. Dette le migliori referenze, alla fine convinse Peccei. Fui convocato in albergo la sera stessa, accettai di corsa, sarei andato anche a piedi in Italia. E ci sono andato, come lei sa».
Colella non era Orlando, siamo d’accordo. Però anche Orlando non era un fuoriclasse. Infatti, più anziano di Colella, fece ancora un paio di stagioni sulla cresta dell’onda, in Brasile, fu ancora in Nazionale, ma poi scadde di rendimento. Ha attaccato le scarpe da gioco al chiodo un paio di anni fa (solamente), giocando nelle file della Juventus di São Paulo, una squadra che reca il glorioso nome e che disputa il campionato di serie A.
E Leonardo, come tutti lo chiamavano in Brasile (e lo chiamano ancora) iniziò la sua bella avventura. In Italia arrivò con un bagaglio di entusiasmo senza precedenti. Voleva sfondare subito. Tecnicamente non era un asso, però aveva grinta, senso della posizione, fiuto della rete.
A fine stagione, pensò di essere confermato. Lo scrisse a casa sua a São Paulo, e disse tutto il suo entusiasmo. Ma ecco la doccia fredda: la società aveva altri programmi per la testa, e la posizione di straniero di Colella doveva essere barattata con altro che stava per arrivare. Un grosso personaggio, proprio quello che aspettava la Juve per diventare grande come una volta. E Colella proprio nel momento in cui stava sognando di firmare un secondo contratto, ricevette la comunicazione che il suo rapporto di lavoro con la Juventus era terminato.
Mesto fu il suo rientro a São Paulo, dove continuò a giocare nella Portoguesa de Desportes, la società che era di Julinho e che più tardi avrebbe scovato e venduto all’Inter Jair. Nella Portoguesa Colella, che qui tutti continuavano a chiamare ‘O Italiano, fece un paio di stagioni in tono piuttosto dimesso: quindi chiuse con il calcio.
Oggi è un commerciante di São Paulo che si occupa di automobili ed accessori (fra cui accumulatori), lavora con successo, sta bene, ha dato alla sua famiglia una certa agiatezza. Sei mesi di Juventus gli hanno dato “O pe’ de meia”, frase popolare che vuol dire, tradotta alla lettera, piede di calza e che significa il primo passo verso il successo economico. Per questo, ad onta di tutto, Colella ricorda ancora con tanta nostalgia la sua mezza stagione alla Juventus, la signorilità dei dirigenti, il contributo finanziario che essi dettero a lui, modesta figura di calciatore, perché della Juventus di Torino serbasse il più grato ricordo.
E così è ora. Colella dal Brasile manda alla sua vecchia Juventus un affettuoso abbraccio e le congratulazioni sincere per il brillante, conquistato scudetto.
Acquista il libro "Di punta e di tacco" scritto da Stefano Bedeschi
Acquista il libro "Il pallone racconta" scritto da Stefano Bedeschi