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Gli eroi in bianconero: Igor TUDOR

di Stefano Bedeschi

Dici pilone e pensi a un giocatore di rugby – scrive Angelo Caroli su “Hurrà Juventus” dell’ottobre 1998 – robusto come una quercia ma statico. Igor Tudor è il nuovo pilone della Juventus, ma nessun accostamento può essere fatto con i mastini della palla ovale. Questo è un molosso altissimo, dunque non veloce, ma con buona progressione e abbastanza rapido di gambe con la palla al piede. La storia del viaggio che porta il difensore croato da Spalato a Torino è così sintetizzabile. Piaceva a Luciano Moggi ed è diventato uno dei nuovi alfieri della Signora. Il “direttore” non si è sbagliato neppure stavolta.
Già l’inverno scorso ha mandato i suoi “occhi” fidati Pezzotti, Tomei e Ceravolo a osservare Igor in Croazia. I responsi sono stati tutti lusinghieri. E la trattativa è stata subito aperta. In verità non si è trattato di un’operazione agevole, poiché si erano intromessi il Manchester United, l’Arsenal e addirittura il Real Madrid con vagoni di sterline e pesetas. Il particolare ha stuzzicato ancor più Moggi, il quale è andato di persona a sbirciare il giovane Igor. Se ne è invaghito (calcisticamente, è ovvio) e ha concluso l’affare in un lampo.
Come è sua consuetudine quando punta il dito su un giovane talento. E ha trasformato il progetto in realtà, sono sue parole, anche grazie all’aiuto del procuratore di Igor D’Onofrio. E ora il ragazzone, un’autentica pertica, ci sta davanti con il faccione pacifico, l’aria serena e sicura, capelli castano chiari e cortissimi, sopracciglia folte al punto da disegnare una linea unica sopra occhi miti che però riflettono una voglia matta di sfondare in quella che ritiene “la passerella più importante del mondo”.
L’interprete è il delizioso Mirkovic. Gli farà da paggetto finché il difensore venuto da Spalato non avrà approfondito i dolci misteri della lingua italiana. Parli e Igor ti fissa dando la sensazione di non soffrire emozioni, nemmeno davanti alla prospettiva di debuttare nel nostro campionato al fianco di Montero e davanti a Peruzzi, dopo essersi espresso su alti livelli di rendimento nel Trofeo Berlusconi conquistato a San Siro quando la Juve ha battuto il Milan.
Lo scuotono appena i complimenti di Lippi, di fronte ai quali non resiste: «Poiché arrivano da lui hanno un sapore speciale, ho infatti capito di avere a che fare con una persona e un tecnico di grande valore, anche se ho avuto a disposizione un arco di tempo piuttosto breve. E poi ci sono gli effetti speciali, San Siro di notte costruisce atmosfere davvero fantastiche. Probabilmente la platea mi ha caricato al punto giusto, e allora è stato quasi facile fare bella figura di fronte a Weah, Kluivert e Bierhoff, che sono campioni vaccinati».
La storia di Igor Tudor somiglia a quella di tanti giovani e ha il profumo di una fiaba. Apre il primo capitolo cominciando da quando era poco più che un bimbo: «Che cosa si fa a quell’età se non correre dietro a un pallone per strada improvvisando due porte con libri o pietre? Mi hanno messo presto davanti a un obiettivo, dicevano che ero bravo, e mi hanno tesserato. Avevo poco più di undici anni. Nell’Hajduk ho percorso tutte le tappe, dalla Primavera alla prima squadra. Ho debuttato che ero diciassettenne. E sono arrivato alla Nazionale maggiore dopo aver indossato le maglie di tutte le rappresentative giovanili».
Igor ha esordito in Nazionale contro l’Ucraina e ha accumulato cinque gettoni, compresi quelli che gli hanno fruttato il bronzo in Francia. E adesso è il nuovo pilone bianconero, di immensa stazza essendo alto 193 centimetri con un peso di novanta chili. Ha senso della posizione, grossa personalità, eccellente nel gioco aereo, come molto valido nella tecnica individuale. Ed è pertanto misurato e preciso nella distribuzione del pallone. L’interessato spiega il particolare con «la scuola dell’Hajduk, dove la didattica specifica è importantissima. È un aspetto che in Croazia si cura molto. Qui da voi si punta di più sulla forza e sulla tattica. I miei maestri sono stati Jalic, Katalinic e Jozic. Se tolgo sei mesi del 1996 per un’esperienza vissuta nel Trogir, squadra il cui valore equivale alla vostra serie C1, ho sempre militato nel club più blasonato di Spalato».
– E gli studi? «Mai trascurati. Ho frequentato per otto anni le scuole elementari, poi ho scelto un indirizzo economico, ottenendo il diploma. Ed eccomi qui».
– Con quali obbiettivi? «Sparare tutte le cartucce, vincere il maggior numero di trofei possibile e tornare in Croazia, magari tra dieci anni, con valigie piene di esperienze entusiasmanti. E con denaro, quel tanto che mi permetta di vivere in modo sereno per il resto dei miei anni. Ci terrei molto a lasciare in Italia un’ottima impressione. Mi auguro, insomma, che quando partirò da Torino lascerò dietro di me, nel cuore della gente voglio dire, un buon ricordo, come uomo e come juventino».
Tra una risposta e l’altra Tudor, che spera di diventare il principe Igor nel cuore dei tifosi, batte su un tasto con amorevole ossessione, citando il nome di Bilic, «resta il mio idolo, è inutile che mi facciate osservare che al di là dei confini croati c’è materiale migliore. Per me il top è lui. Punto e a capo. Se poi volete sconfinare in altri settori di una squadra, allora aggiungo Boban e Boksic come prodotti migliori della nostra ultima generazione. Ed è un vero peccato che Boksic non abbia potuto disputare i campionati del mondo a causa di un menisco. Visto che siamo arrivati terzi, mi chiedo quali traguardi avremmo centrato con lui».
– Un po’ di Juve, a cominciare da Del Piero e Inzaghi. «Risposta fin troppo ovvia: la Juve è una delle maggiori realtà mondiali, la televisione mi ha insegnato a conoscerla, un contratto e la frequentazione mi stanno insegnando ad amarla. Voglio tanti successi con lei. Sappiate che sono testardo, che non ho paura di nulla e che ottengo ciò che mi ficco nella testa. Per quanto concerne il tandem Del Piero-Inzaghi cosa aggiungere? Lo sanno tutti che si tratta di una coppia formidabile. Con quei due davanti il gol ci scappa sempre».
– Parla e si toglie il sudore dalla fronte con la manica della camicia beige. Anche stavolta ha lavorato molto per seguire i comandamenti di Lippi e Ventrone. Domanda: hai mai sofferto così tanto in Croazia? «Sì, un anno, l’allenatore era Bomacic. Ma il lavoro fa bene, scagli la prima pietra chi sostiene il contrario».
– In base alle conoscenze televisive, o dirette, maturate finora a chi aggiudicheresti lo scudetto 1998-99? «Alla Juve e all’Inter, che metto sullo stesso piano. Poi vedo bene la Lazio».
– Igor, raccontaci un po’ della tua vita, della famiglia, degli hobby. «Ho una sorella di nome Ivona che ha diciotto anni e i genitori che ora vivono qui con me. Mia madre fa la parrucchiera, mio padre il commerciante. Passatempi? Nessuno in particolar modo: niente cinema (come la metterei con la lingua?), niente libri e niente musica. Casa e calcio, questo è l’itinerario. Divoro le trasmissioni su canali sportivi e mi balocco parecchio con i video games. Però cammino molto per Torino, una città un po’ grigia, a mio avviso, che voglio scoprire meglio e senza fretta. Dimenticavo, adoro la vostra cucina, gli spaghetti soprattutto».
– Quali effetti hai ricavato dalla guerra nell’ex Jugoslavia? «Per fortuna fino a noi sono arrivati soltanto gli echi, poiché la guerra si è svolta lontano da Spalato».
E il pilone con la faccia da bambino ma seria come quella di un patriarca ci stringe la mano per scomparire nello spogliatoio, seguito come un’ombra dall’inseparabile Mirkovic, amico e interprete.

Il primo Tudor gioca in una Juventus partita bene e poi naufragata in campionato, anche se, a dicembre, si trovava in testa alla classifica. Infortuni importanti, come quello di Del Piero, decimano la squadra e il ragazzone croato ha tante occasioni di mettersi in mostra. L’esordio avviene a Perugia, il 13 settembre 1998, prima giornata di campionato. È una partita, piena di emozioni per cuori forti, un match d’altri tempi. La Juventus che schiera al centro della difesa il giovane gigante prende subito il largo e proprio Tudor firma uno dei quattro gol del successo. Igor, incute timore agli avversari, per la notevole stazza atletica ed è uno stopper di antica memoria.
La consacrazione arriva il 13 dicembre, a Firenze, quando deve incrociare i bulloni con Batistuta, capocannoniere della squadra viola; Igor conferma tutto il buono che si dice di lui, ma anche qualche lacuna ancora da colmare, causa la giovane età e la mancanza di esperienza. Con ventitré presenze in campionato si dimostra un giocatore prezioso, infatti, la successiva Juventus ancelottiana se lo tiene stretto e il croato è impiegato sempre più spesso.
Nel 2000-01 è presente venticinque volte e realizza sei reti, molte di testa, la sua specialità. La Juventus ritrova Lippi l’anno successivo e, l’allenatore toscano, lo utilizza come un jolly, difensore di fascia destra o centrocampista aggiunto quando occorre, riuscendo ad affinare le sue qualità tecniche e a registrare le sue potenzialità, anche come goleador.
Nonostante un infortunio che lo tiene fermo per diversi mesi, nell’anno dello scudetto 2002, colleziona sedici presenze e quattro segnature: certi gol lasciano il segno per importanza e autorevolezza, come quello che completa la rimonta al Chievo, in un’infuocata sfida al Delle Alpi che vedeva i clivensi avanti di due reti. È ancora utile nel bis dell’anno successivo, prima di traslocare in prestito al Siena e contribuire, da par suo, alla salvezza dei toscani.

FLOBERT, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL 7-13 OTTOBRE 2003
Sembrava essersi lasciato tutto alle spalle, e invece no. Tudor è ancora fermo ai box, questa volta per un problema muscolare al polpaccio destro. Non è fortunato il centrocampista (ormai è da considerarsi tale dopo l’invenzione tattica di Lippi). Da un paio danni non gliene va bene una, tanto da aver trasformato l’antico adagio “non c’è il due senza il tre” in un più personale “non c’è mai il tre dopo il due”. Infatti il croato non riesce più a infilare una serie consistente di presenze in campo senza dover fare i conti con gli infortuni. È andata così anche questa volta: novanta minuti contro la Roma, di cui una ventina in difesa, e quasi altri novanta minuti a Reggio Calabria prima di arrendersi al dolore per il risentimento al polpaccio.
Tutto comincia con una distorsione alla caviglia destra patita in un Lecce-Juventus del 22 settembre 2001. Nulla di serio tanto che Tudor rientra nel derby del 14 ottobre. I problemi, quelli veri, devono ancora arrivare. Il 4 dicembre, allo stadio Highbury di Londra, Tudor gioca solo venti minuti di match, poi perso 3-1 dalla Juventus, prima di uscire dal campo zoppicando per l’ennesima distorsione alla solita caviglia. Seguono tre mesi di stop prima del rientro alla grande, con gol, a San Siro per un Inter-Juventus terminato 2-2. È il 9 marzo 2002. Tre giorni dopo Lippi vuole rimandarlo nella mischia per salvare la Champions League, ma a Leverkusen, Tudor non se la sente di giocare la seconda partita in tre giorni «La caviglia è mia», dice e si limita a guardare la sua Juve uscire malinconicamente dalla Champions.
Ritorna in campo il 17 marzo per una mezz’ora con il Verona e poi la settimana dopo a Parma, dove la Juventus esce sconfitta per 1-0 e Tudor è costretto a fermarsi ancora una volta per uno stiramento all’adduttore. Dovrebbe in teoria bastare una settimana di riposo, ma non va così. Il vero problema è ancora la caviglia. Con il Mondiale nippo-coreano ormai alle porte, Tudor chiede di potersi curare con calma. Tutto inutile, la caviglia non guarisce e poco prima delle convocazioni diramate dal C.T. croato, Tudor annuncia: «Abbiamo deciso che mi sottoporrò a un intervento chirurgico per guarire definitivamente».
Passa l’estate e Tudor lavora sodo. Il 28 settembre è di nuovo in campo, ancora contro il Parma. Entra al primo del secondo tempo e, tanto per cambiare, allo scadere segna il gol che darà il via alla rimonta bianconera. Finisce 2-2 tra le polemiche e per Tudor c’è anche la squalifica per aver preso per i capelli Benarrivo. L’arbitro non vede, ma la TV sì. Ancora uno stop.
Il rientro il 19 ottobre contro l’Inter, ma la sfortuna non lo molla. Il 6 novembre a Piacenza deve uscire al 13’ del secondo tempo per l’ennesimo stiramento. Si ricomincia. Starà fuori a lungo, ma tomerà nel finale di stagione per dare il suo importante contributo. Fondamentale il suo gol il 12 marzo scorso al Delle Alpi contro il Deportivo La Coruña: al 93° e venti secondi, i bianconeri stanno pareggiando 2-2 e rischiano di compromettere la qualificazione ai quarti quando sul piedone sinistro di Tudor, quello sano, arriva un pallone che lui scaglia verso la porta avversaria senza pensarci. Sarà il gol del 3-2 e della qualificazione, ma le sfortune del croato non sono ancora finite.
Giocherà ancora spezzoni di partita fino alla finale di Manchester. Lippi, che lo considera una colonna portante della sua Juventus, lo manda in campo dall’inizio, ma i muscoli del gigante croato fanno ancora i capricci. Altro stiramento, altro stop. Gli tocca un’altra estate di lavoro duro, per recuperare fino al suo ennesimo ritorno in campo, il 21 settembre, con la Roma. Ma questa è storia recente. Due partite ed ecco il solito infortunio. Questa volta al polpaccio, questa volta cosa da poco. Però, chissà quanta voglia avrà ancora Tudor di lottare, di soffrire per giocare poi solo un paio di partite prima di doversi fermare, ancora una volta, ai tanto odiati box.

Nell’estate del 2006, dopo aver disputato il Mondiale con la Nazionale croata, ritorna alla Juventus. Purtroppo, a causa dei continui problemi fisici, non riesce mai a scendere in campo. A fine stagione, Igor ritorna a casa, ingaggiato dall’Hajduk Spalato.
Il Tudor che resterà a lungo nella mente e nel cuore dei tifosi è quello che, all’ultimo minuto, condanna il Deportivo La Coruña, nella Coppa dei Campioni edizione 2003, segnando il gol che vale la qualificazione ai quarti, con uno splendido tiro al volo, dopo un assist di Trézéguet.
I numeri: 173 presenze e ventuno reti, due scudetti e un Intertoto.
 


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