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Gli eroi in bianconero: Fabrizio RAVANELLI

di Stefano Bedeschi

Fabrizio Ravanelli, classe 1968, un fisico da lottatore sormontato da una chioma precocemente imbiancata. Ha già giocato per parecchie squadre, prima di esplodere nella Reggiana. È un idolo dei tifosi granata, ma quando viene acquistato dalla Juventus e lasciato in parcheggio a Reggio Emilia per una stagione, viene accusato di tirare indietro la gamba ed, aspramente contestato, lascia una cattiva immagine di sé; lo chiamano “venduto”: «Non potevano dirmi una cosa più offensiva! Io ho sempre dato il massimo, ho cercato di segnare come in tutte le altre stagioni. Il fatto è che non appena le cose si sono messe male, certa gente ha dato tutte le colpe al sottoscritto».

Quando arriva alla Juventus, in molti lo paragonano a Bettega, per il colore dei capelli; Ravanelli arriva come bomber di scorta, in una squadra che schiera Vialli e Roberto Baggio, Möller e Casiraghi. Prospettive di maglia sicura ridotte al minimo, ma uno con la grinta di questo umbro giramondo non può arrendersi per così poco: «Essere arrivato alla Juventus è il massimo, mi sento realizzato sia come uomo, sia come calciatore. La Juventus è il massimo e quelli che ne parlano male, lo fanno solo per invidia. Sin da bambino sono tifoso bianconero; abitavo a Perugia e, tutte le volte che la Juventus giocava dalle parti dell’Umbria, chiedevo a mio padre di accompagnarmi alla stadio, per seguire i miei beniamini».

Fabrizio è mancino, ha un buon tiro, sa colpire di testa, ma le movenze appaiono sgraziate e si ha la netta la sensazione che debba migliorare enormemente, anche nei fondamentali. Il “Trap” è un ottimo maestro e capisce che il ragazzo ha voglia di crescere, di sfondare e comincia a metterlo sotto torchio. Ad autunno inoltrato comincia a giocare qualche spezzone di partita e la sua prima rete in maglia bianconera, il 13 dicembre 1992 a Foggia, passa quasi inosservata: il suo goal, su rigore, infatti, non evita la sconfitta (1-2) ad una Juventus in giornata di scarsa vena.

Il ghiaccio è rotto, i tifosi ne apprezzano la strenua volontà di lottare ed il 13 febbraio del 1993, in un Juventus - Genoa che sembra destinato allo 0-0, la sua zampata è di quelle che lasciano il segno. Ne segna altri, compresi alcuni decisivi per la conquista della Coppa Uefa, che gli valgono la riconferma. La stagione successiva è promosso a prima riserva, dopo la cessione di Casiraghi alla Lazio, e crescono le presenze e le reti: “Penna bianca” è sempre più nel cuore dei tifosi e sempre meno lontano dal modello originario, “Bobby-goal” Bettega, appunto; non ha certamente la stessa classe, ma in area sa farsi rispettare e vede la porta come pochi altri: «Spero che non sia solamente una somiglianza fisica, ma questo paragone mi riempie di soddisfazione».

La svolta avviene la stagione successiva. Si chiude il ciclo “trapattoniano” ed inizia quello di Lippi. Ancora una volta è una sconfitta a Foggia che cambia il destino di Ravanelli. Lippi vara il 4-3-3 e gli attaccanti sono Vialli e Ravanelli, con Roberto Baggio ed il giovanissimo Del Piero a supporto. È una formula molto spregiudicata, gli attaccanti devono sacrificarsi; nasce, così, un Ravanelli a tutto campo, capace di colpire ed arretrare a coprire. Sta nascendo un campione universale, adatto a tutte le fasi della partita e questo coincide con la nascita di una Juventus entusiasmante, vincente e convincente.

«La prima volta che ho incontrato Boniperti ero emozionatissimo, impacciato. Lui ha cercato di mettermi a mio agio e mi ha chiesto: “Allora, vieni o no alla Juventus?” Io, ancora più rosso del solito, gli ho risposto: “Non vedo l’ora di entrare nella sua famiglia”».

Il ricordo dell’Avvocato: «L’avvocato Agnelli era il simbolo della Juventus. È stato il punto di riferimento sia per i giocatori che per i dirigenti. Dopo aver approfondito la sua conoscenza, ho avuto modo di carpire le sue qualità umane. Sapeva metterti a tuo agio, l’Avvocato. Ricordo anche le sue telefonate mattutine, come ad esempio quella legata al mio addio, od alla prestazione memorabile di Liverpool, quando andai in Inghilterra. Credo proprio che non lo dimenticherò mai. Mi legano a lui troppi ricordi».

La Juventus “lippiana” è travolgente: terza giornata, prima grande impresa in trasferta, 2-0 a Napoli con goal di Fabrizio e la prima perla, che lo renderà famoso, di Alessandro Del Piero. Padova - Juventus, 27 novembre, sarebbe un deludente pareggio se Ravanelli, partito dalla panchina, non siglasse nel finale un goal bello ed impossibile.

Ma c’è una data, in questa stagione, che segna il passaggio da normale attaccante a campione consacrato; Parma, 8 gennaio 1995, sfida al vertice. Il Parma passa in vantaggio con l’ex Dino Baggio, poi la Juventus pareggia ed infine dilaga con Ravanelli: il goal del 2-1 è da antologia, un colpo di testa in tuffo, come faceva “Bobby-goal”, che applaude in tribuna e commenta: «Roba che riesce solo a chi ha i capelli bianchi».

Nasce l’esultanza stile “Uomo mascherato”, una corsa con la maglietta sul volto: «Giocavamo a Napoli, ed eravamo fermi sullo 0-0. Era il Napoli di Boskov. Bene, Lippi nello spogliatoio ci caricò, dicendo che un nostro campione ci avrebbe permesso di vincere la partita. Ed il io, alla fine del secondo tempo, realizzai la rete decisiva, esultando in quel modo».

Alla fine della stagione trionfale, con scudetto e Coppa Italia, il contributo di Ravanelli è straordinario: solo in campionato va a segno 16 volte, oltre a 14 reti che ha collezionato nelle coppe: «Eravamo diciotto marines, all'epoca. Remavamo tutti nella stessa direzione. Non ci sono mai stati screzi ed in questo aiutammo molto Lippi».

Logico che anche la Nazionale si accorga di lui; alla fine saranno 22 presenze con 8 goals. Ma l’obiettivo principale della Juventus è la Champions League, che richiede un duro lavoro di avvicinamento. A segno nelle sfide iniziali contro Steaua Bucarest e Rangers, “Penna bianca” si astiene nei quarti ed in semifinale, conservando lo stoccata per l’occasione più importante. Roma, 22 maggio 1996, finale con l’Ajax: «Sicuramente, quella rete e quella partita, rimarranno indelebili nella storia. Anche perché Gianni Agnelli teneva molto a quella vittoria, considerando i fatti di Liverpool. Chiese di vincerla quella finale. E noi lo accontentammo con una grande vittoria. Quella rete rappresenta la mia carriera bianconera».

Un goal per la storia ed anche per l’addio. «Fui venduto senza spiegazioni. Dentro di me, per tale ragione, c'è molta amarezza. Fossi rimasto, sarei stato lieto di far ancora parte di quell'organico di campioni. Ma a volte, si è costretti cambiare strada. Penso di aver ricevuto meno di quanto ho dato alla Juventus. Io, ero il vice capitano e portai la fascia al braccio nel ventre di un “Bernabeu” stracolmo, contro il Real Madrid. Mi sentivo il futuro di quella squadra. Fui persino chiamato nell'ufficio del dottor Umberto Agnelli. Mi parlò di tutti i capitani della gloriosa storia bianconera, indicandomi come uno di quelli futuri, mostrandomi tutti i trofei vinti in bacheca. Rimanemmo a parlare per molte ore. Sono in pochi a sapere questo aneddoto, ma andò proprio così».

Lascia la Juventus per cercare altra gloria prima in Inghilterra ed in seguito in Francia, e la lascia da trionfatore. 160 partite e 68 reti, di cui 18 nelle coppe europee. In bacheca, uno scudetto, una Coppa Uefa, una Champions League ed una Supercoppa italiana: «Non aver giocato la Coppa Intercontinentale è il mio rimpianto più grande. Anche se, lo dico con sincerità, la sento mia, quella Coppa che fu il frutto dei sacrifici della stagione precedente, con me e Vialli in campo. E per me, andare via dalla Juventus, non fu facile. Io, sono un bianconero vero. Però, la vita è questa ed alcune cose, possono anche non andare per il verso giusto».

 


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