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Gli eroi in bianconero: Antonio VOJAK

di Stefano Bedeschi

 Le mezze ali del secondo scudetto (1925-26) – scrive Alberto Fasano su “Hurrà Juventus” del luglio 1965 – furono Vojak e Hirzer. Vojak era un fiumano di eccellenti doti atletiche, magro e ossuto, ma resistentissimo alle fatiche di un torneo, generoso oltre ogni limite, sufficientemente tecnico per imporre i diritti di una certa classe, forte stoccatore a rete, anche se non eccessivamente preciso. Non mi pare che il virtuosismo fosse la qualità peculiare di Vojak, ma possedeva un enorme senso tattico, e ciò si spiega con il fatto che il senso tattico è qualcosa di meditato, derivante dall’applicazione dell’intelligenza sportiva ai fini dell’impostazione e dello sviluppo della carriera. Vojak ha giocato in bianconero dal 1924 al 1929, disputando 78 partite e realizzando 24 reti.

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Maradona sarà anche meglio di Pelé, ma a Napoli c’è stato qualcuno che era meglio di Maradona. Nessuna bestemmia, parlano le cifre: l’ex Pibe de oro sarà anche riuscito a portare due scudetti e una Coppa Uefa sotto il Vesuvio, ma c’è un primato che non è riuscito a battere, quello dei gol in campionato con la maglia azzurra.
 Il record appartiene all’istriano Antonio Vojak, bomber di poche parole, carattere senza compromessi e tanti, tantissimi gol, 102 in 6 stagioni, una in meno del grande Diego, che si è fermato a quota 81. Destro l’istriano, mancino l’argentino, entrambi mezzali con caratteristiche spiccatamente offensive, Maradona vince il confronto diretto grazie alle coppe, che Vojak praticamente non giocò (2 gettoni e un acuto in Mitropa nel 1934).
Antonio “Toncy” Vojak, terzo di cinque fratelli (quattro maschi e una femmina) nasce a Pola, rione San Policarpo, il 19 novembre 1904: a due passi da casa sua c’è il Dopolavoro Aziendale Primavera, dove va a tirare i primi calci: tiro in corsa, velocità, potenza, agilità, abbinate a un fisico notevole (1.75 per 72 kg) sono le doti che lo mettono in luce. Nei campetti polverosi di provincia segna gol a raffica. Per una strana somiglianza lo chiamano “Janda” come l’attaccante ceco e... cieco (da un occhio), gioca qualche gara in porta e se lo accaparra il Grion, la squadra principale della città, intitolata a un sottotenente dei bersaglieri caduto al fronte ad Asiago. A 20 anni, arriva la cartolina di leva, Vojak finisce a Roma e trova un ingaggio nella Lazio, dove spopola Fulvio Bernardini: fa gol al debutto nella massima serie a gironi (8 febbraio 1925, Lazio-Audace 4-2) e chiude con 7 reti in 10 gare.
La carriera è avviata e dopo pochi mesi Vojak accetta l’offerta della Juventus. A Torino, oltre a formare (con Munerati, Pastore, Hirzer e Torriani) una delle più formidabili linee d’attacco della storia bianconera, vince subito lo scudetto e conosce Rita, che sposerà prima di trasferirsi a Napoli. Utile per la squadra, ma anche terribilmente prolifico, Vojak finisce nel mirino di Vittorio Pozzo, che però riesce a ritagliargli solo uno spazio nella Nazionale B. Chiuso dallo stratosferico trio del Torino (Baloncieri-Libonatti-Rossetti) raccoglie 6 presenze (con 3 centri) nella cosiddetta squadra dei “Cadetti” ma tra lui e il Ct regnerà sempre un reciproco rapporto di stima, anche quando Vojak verrà convocato d’urgenza come riserva del grande Renato Cesarini e resterà a bordocampo, anche quando verrà chiamato nei 29 probabili azzurri per il Mondiale 1934 e verrà rispedito a casa. Due anni prima però Pozzo aveva voluto premiarlo facendolo esordire (al posto di Sansone, ko alla vigilia) nella Nazionale A, che a Napoli aveva superato la Svizzera per 3-0.
Nel frattempo, i giornali hanno iniziato a chiamarlo Vogliani, ma lui non si allineerà mai al regime fascista, rifiutando di recarsi all’anagrafe per “italianizzare” il cognome.
A livello di club, la carriera di Vojak sembra già in declino a 25 anni: un ginocchio fa le bizze e la Juventus lo cede all’ambizioso Napoli, dove il presidente Ascarelli sborsa mezzo milione di lire (cifra stratosferica all’epoca) per fare arrivare il portiere Cavanna, il terzino Vincenzi e il centravanti Mihalic. Vojak è la ciliegina sulla torta voluta dal tecnico inglese William (Willy) Garbutt che sogna di portare il Ciuccio ai fasti del Genoa con cui ha vinto 3 scudetti. A metà stagione 1929-30 (primo campionato a girone unico), pochi mesi dopo l’inaugurazione dello stadio a lui intitolato, Ascarelli muore e con lui se ne vanno i sogni di gloria.
Il 1932 di Vojak è segnato dalla grave perdita del fratello Oliviero (Vojak II): giovane ala destra di belle speranze, la Juventus lo aveva mandato a Napoli per maturare accanto ad Antonio. Invece si ammala, torna a Torino e muore per un’appendicite a soli 21 anni. Il Napoli di Garbutt conquista due onorevoli terzi posti e Vojak, rinfrancato dall’aver ritrovato il mare, vive i più begli anni della carriera. Quattro volte su sei oltre le 20 segnature, una buona media dal dischetto (19 centri su 25) con partite vinte praticamente da solo, a volte con in testa una retina per fermare la benda, frutto di un colpo proibito di un difensore, come ricorderanno due suoi grandi amici, entrambi portieri, Cavanna e Sentimenti II. A Napoli nascono i tre figli di Vojak, Gianni, Marina e Loredana. Quest’ultima sposa Luigi Ossola, giocatore del Varese, fratello del cestista Aldo e fratellastro di Franco, caduto a Superga col Grande Torino.
Nel 1935-36 il Nostro riparte dal Genoa ma stavolta i problemi fisici lo condizionano sul serio: fa in tempo a regalare ai rossoblù una doppietta nel 2-0 al Brescia, quindi passa alla Lucchese, dove però si fa male e riesce a giocare solo una gara. Chiude nell’Empoli, due stagioni come allenatore-giocatore e viene richiamato a Napoli per guidare gli azzurri, tuttavia, da tecnico non avrà troppa fortuna. La sua migliore stagione sarà col Napoli 1940-41, ottavo posto e salvezza insperata. Arriva la guerra, la famiglia Vojak viene sfollata a Cava de’ Tirreni, lui allena l’Internaples, lavora per due anni presso il comando alleato, poi la scelta di andare via: Juve Stabia, Barcellona di Pozzo di Gotto, Avellino, Carrarese e anche un incarico stagionale a Cipro, dove lo manda la Figc per sostituire Italo Zamberletti sulla panchina dell’EPA Larnaca. Nel 1948 è a Varese, dove si dedicherà con passione a squadre minori (Luino, Solbiatese, Gallaratese) e ai giovani, dividendo il suo tempo tra il campo e le officine dell’Aermacchi, successivamente acquistata dall’americana Harley Davidson, quella delle moto.
La morte lo coglie nel 1975; due anni prima aveva avuto un malore dovuto a un’embolia. Mentre i figli negli ultimi due difficili anni della sua vita lo assistono con amore, dice: «Se sapevo che sarebbe finita così, non avrei mai fatto il calciatore».
Toncy Vojak, orgoglio di Pola e bomber del Vesuvio, è tramandato ai posteri dall’autore dialettale Stefano Attilio Stell nella poesia Schütplatz: «Chi no ricorda i Castro e i Colussi, i Bonivento, i Curto, i Ostroman, i muli Vojak, i Tercovich e i Lussi. Su questo sasso, a Schütplatz, son sentado e con malinconia guardo el mar, ma tutti questi che go nominado no podarò mai più dismentigar».
 


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