Gli eroi in bianconero: Andreas MÖLLER
Andreas «Andy» Möller – scrive Marco Zunino su “Hurrà Juventus” del luglio/agosto 1992 – il più amato, odiato, dotato calciatore tedesco del momento. Andreas Möller, uno dei nuovi assi nella manica della Vecchia Signora. E nato a Francoforte il 2 settembre 1967 e nella sua città, a maggio, si è spostato con Michaela Winter, la ragazza conosciuta a sedici anni sui banchi di scuola, nel quartiere di Sossenheim. Sono almeno quattro stagioni che in Germania si parla di lui come del più grande talento in circolazione.
Un po’ Boniek, un po’ Platini, dieci anni dopo. Muscolatura asciutta (180x73), tocco morbido, movenze eleganti, Andreas Möller è quel che si dice un giocatore atipico: giostra su tutta la trequarti, da destra a sinistra e viceversa, impostando e rifinendo la manovra, non disdegnando la stoccata a rete, anche dalla lunga distanza. Ma non è un regista. Destro naturale, non ha comunque problemi se si trova a calciare con il sinistro. Nell’ultimo campionato ha realizzato 12 reti in 37 partite disputate (delle 38 della Bundesliga tedesca), ha regalato ai propri compagni di squadra dieci assist vincenti e il bisettimanale sportivo tedesco «Kicker» lo ha inserito nell’undici tipo della stagione.
Eccellente il suo controllo di palla, ottimo il piede destro con il quale sa rendersi pericolosissimo sui calci piazzati ma anche dalla bandierina del calcio d’angolo, da dove può fare partire insidiosi cross parabolici diretti all’incrocio dei pali della porta avversaria. Può incontrare problemi se impiegato al centro del campo; al contrario, sa diventare irresistibile se trova corridoi esterni dove infilarsi. Predilige la trequarti destra, un po’ a ridosso della fascia, ma non ha eccessivi problemi se schierato a sinistra. Bruciante è lo scatto, di quelli che lasciano sul posto (corre i 30 metri in 3,83 secondi), come notevole è l’arrembante falcata che lo porta a toccare gli 11,2 secondi sui 100 metri. E la velocità non incide sulla tecnica; anzi, è proprio in corsa, palla al piede; che Möller fa vedere le cose migliori. Sotto rete non scherza: negli ultimi quattro campionati non ha mai segnato meno di 10 gol: 11 nell’89, 10 nel ‘90, 16 nel ‘91, 12 quest’anno.
Berti Vogts: «Siamo di fronte al più grande talento espresso dal calcio tedesco negli ultimi dieci anni».
Franz Beckenbauer: «Ha tutto per diventare un grande del calcio, a 24 anni ha ancora ampi margini di miglioramento».
Otto Rehhagel: «Andreas Möller è il Mozart del calcio tedesco».
SIMONE POMPILI, DA RADIOBLACKANDWHITE1897.COM DEL 22 MAGGIO 2020
Il suo arrivo a Torino è datato 1992, un anno che, ricordandolo oggi, farà tremare i polsi di molti tifosi, poiché rappresenterà l’inizio della costruzione di quella Juve che da lì a qualche anno diventerà tra le più forti formazioni bianconere di sempre.
In quella stagione veniva riconfermato Giovanni Trapattoni in panchina; a centrocampo rientrava dal prestito all’Inter Dino Baggio (subito rinominato Baggio 2 per non confonderlo con l’allora capitano Roberto); in attacco arrivavano Ravanelli e Vialli, quest’ultimo strappato alla Sampdoria per la cifra di 30 miliardi.
In difesa, uno sconosciuto Moreno Torricelli si apprestava a vestire la maglia della Vecchia Signora, dopo che il Trap se ne era innamorato durante un’amichevole primaverile contro i dilettanti della Caratese, dando così vita a una delle più belle favole calcistiche di quegli anni; infine approdavano a Torino i due stranieri David Platt e Andreas Möller, a completamento di un corposo rinnovamento della rosa.
Il suo esordio in Italia avviene nella coppa nazionale contro la Fidelis Andria, in cui Andy si toglie lo sfizio di segnare il primo goal italiano. Riesce ad andare in rete anche nel suo prologo in campionato, dove la Juventus travolge l’Atalanta per 4-1 in casa; non sarà però un cammino entusiasmante quello dei bianconeri in Serie A.
Le prestazioni sono altalenanti e gli uomini di Trapattoni non si inseriscono mai in maniera decisa nella lotta scudetto con il Milan di Capello, che alla fine si laurea Campione d’Italia – nonostante le importanti performance di Möller e le reti di Baggio che alla fine del torneo saranno 21.
«Con la maglia bianconera posso giocare nel campionato più difficile e tecnico del mondo, e anche in una grande vetrina internazionale come la Coppa Uefa. Certo, non è facile giocare in Italia e, confesso, qualche problema ce l’ho; a me piace giocare a briglia sciolta, poter spaziare a destra e a sinistra e, non sempre, me ne rendo conto, questo è possibile. Ma credo di essere pronto a sacrificarmi, di poter ancora maturare tatticamente».
Tutt’altra faccenda è invece il cammino in Coppa Uefa che la Juve già aveva vinto per la seconda volta due stagioni prima. La Vecchia Signora infatti anche in quella circostanza si apprestava a fare la storia del calcio europeo andando a conquistare la sua terza vittoria del torneo e a diventare la prima squadra a riuscirci in quella manifestazione.
La Juventus, ironia della sorte, si impone in finale battendo nella doppia sfida la squadra che aveva permesso ad Andy di entrare di diritto nel giro degli attaccanti più forti di quegli anni: il Borussia Dortmund. Möller segna il goal del definitivo 3-0 nella gara di ritorno del Delle Alpi (l’andata si era conclusa 3-1 per i bianconeri fuori casa) aiutando così i piemontesi, non solo ad alzare la Coppa Uefa, ma a stabilire pure l’ennesimo record in Europa, e cioè vincere con il maggior scarto in una doppia finale di questa competizione.
Già, proprio contro il suo amato Borussia. Chissà cosa avrà pensato Andy quella sera mentre festeggiava con i suoi compagni la vittoria di un così importante trofeo, e all’oscuro di ciò che sarebbe poi accaduto qualche anno dopo…
Intanto la Juventus, anch’essa ignara, stava per inanellare negli anni subito immediati a quel trionfo, un filotto di vittorie di trofei che l’avrebbe portata a vincere anche la sua seconda Coppa dei Campioni nella stagione 95/96. Andreas Möller era ormai un ricordo; il tedesco era già stato allontanato da Torino e tra le motivazioni, le più importanti sono riportate in questo stralcio di articolo di Repubblica del 1994, in cui l’allora dirigenza bianconera cercava di spiegare così le proprie scelte.
«L’insulto etnico e il luogo comune a sfondo razziale non sono previsti dal tariffario-multe della Juventus, ma si tratta di tabelle destinate a un repentino rinnovamento. Del resto, è l’ora delle grandi e piccole metamorfosi; così Andreas Möller dovrà pagare qualche decina di milioni (dai venti ai trenta) per quel “mafioso” sussurrato all’arbitro Nicchi, e sarà comunque poco. Perché certe parole non hanno prezzo. Per la prima volta in tre settimane, Boniperti e Bettega interpretano un fatto nell’identico modo, senza attenuanti, senza concessioni. Möller si vedrà dunque alleggerire lo stipendio: le tariffe juventine prevedono dieci milioni di multa per ogni giornata di squalifica, ma qui esiste l’aggravante dell’aggettivo e la recidiva del comportamento. Poi dovrà cercarsi una nuova squadra. Il suo contratto non sarà rinnovato per ragioni economiche, disciplinari e tattiche; perché Möller, in crisi da tre mesi, incide sul bilancio, sulla tranquillità dello spogliatoio e sul gioco di Roberto Baggio. Il quale, insieme e d’accordo con Vialli, non ha mai potuto soffrire il tedesco. Il calcio vive una nuova realtà economica e noi ci adegueremo. Non è un problema solo bianconero. I cambiamenti di scenario non devono però essere intesi come rivoluzione tattica: non esiste modernità se per questa si intende il gioco a zona. Ne è una conferma ideologica l’assunzione di Marcello Lippi, ormai sicura».
Alda Merini scriveva: «La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vederti felice». È quanto accadde ad Andy il 28 maggio del 1997 all’Olympiastadion di Monaco di Baviera, contro la Juventus, in finale di Coppa dei Campioni.
Inutile ricordare che la Juve ci arrivava da detentrice del titolo; superfluo menzionare il palo colpito da Zinedine Zidane; pleonastico ripensare al goal annullato a Christian Vieri; malinconico richiamare alla memoria che Del Piero dovette subentrare dalla panchina perché reduce da infortunio e che illuse tutti con quella magia di tacco, che solo una lacrima salata potrebbe davvero descriverne l’essenza più vera.
Andreas Möller non segnò in quella partita, ma alzò davanti a tutti la sua Coppa, la sua felicità, quella prima volta della Ruhr, come a volersi mostrare in tutta la sua adorabile insolenza: sì, perché si può perdonare anche questo a un giocatore che, nel bene o nel male, avrà sempre un posto nella stanza dei ricordi di ogni tifoso juventino.
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