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Gli eroi in bianconero: Adrian MUTU

di Stefano Bedeschi

Rumeno di Calinesti, classe 1979, cresciuto nell’Arges Pitesti, poi alla Dinamo Bucarest, arriva in Italia a vent’anni, nel 1999, acquistato dall’Inter, in cerca di talenti da far sbocciare. Dopo 14 partite e qualche goal, inizia un lungo viaggio che lo porta a prima a Verona e poi a Parma: «L’Inter era una squadra con tanti campioni. Il primo giorno che sono arrivato nello spogliatoio ero seduto vicino a Vieri. Poi c’erano Baggio, Ronaldo, Zamorano, Blanc, Zanetti, Panucci. Pensavo che non avrei mai giocato. Non avevo pazienza, volevo mettermi subito alla prova. Una volta, in allenamento, Lippi mi prese per l’orecchio e mi disse: “Ragazzino, sei giovane, non bruciare le tappe perché avrai il tuo spazio!”.
Mancavano 14 partite alla fine del campionato e ne giocai sei da titolare, ma c’era tanta pressione. Ho fatto fatica perché per me l’Inter, a quell’età, era un po’ troppo. Lippi preferiva giocatori con maggiore esperienza e capii che dovevo fare la gavetta prima di costruirmi un nome. Ero giovane, ma quando dissi a Lippi che volevo andare a Verona per giocare con continuità, lui rispose che potevo restare e far parte dei quattro attaccanti della rosa per vedere come andava. Mi sono guardato intorno, ho visto chi avevo davanti e gli dissi che sarei andato a Verona. Anche lì fu difficile. Il primo anno segnai 4 goal, di cui 2 nelle prime 3 partite. Ho avuto una crisi e sono tornato in Romania, a casa. Credevo di non farcela, di non essere abbastanza forte mentalmente. Poi, arrivò Malesani e ci fu la svolta. Non avevo un bel rapporto con l’allenatore che c’era prima di lui: mi faceva giocare in un modo che non era adatto a me, mi sentivo ingabbiato. Lo dissi a Malesani e lui mi rispose di giocare come volevo. Con lui avevo un rapporto speciale. Dopo Prandelli, è quello che mi ha capito come persona. Con lui feci 12 goal e giocai bene anche se poi siamo retrocessi. Ad agosto, poi, passai al Parma e lì si è instaurato subito il feeling con Prandelli. Fu un anno molto bello, non solo calcisticamente. A Parma sentivo l’affetto dei tifosi. Realizzai 24 goal stagionali, tra Campionato e Coppa Uefa».
Con gli emiliani, in coppia con Adriano, sfonda, rivelandosi attaccante imprevedibile, veloce e dotato di eccellente tecnica. Adrian ha una classe cristallina, salta l’uomo con dribbling essenziali e stordenti e sa calciare le punizioni come i grandissimi. Riesce pure farsi valere di testa, nonostante la statura non eccelsa, in virtù di un tempismo che ha pochi eguali.
Se ne accorge il Chelsea, che spende una fortuna per assicurarselo. Storia tutt’altro che felice, quella del Mutu londinese, ma il calcio c’entra poco; infatti, subisce una lunga squalifica per uso di droga: «Quando cominci ad esagerare fuori, in campo il fisico non regge. Sbagliare è normale, fa parte della vita, però, quando sei un personaggio pubblico è più facile che la gente ti punti il dito contro. La cosa importante è trarre dalle critiche le conclusioni migliori.Era facile sbagliare: ero molto famoso, a Londra andavo dappertutto e mi trattavano da re. Sono stato ingenuo, sono stato un pollo. Qualche mese prima di arrivare a Londra, avevo divorziato da mia moglie, avevo anche un figlio e la cosa fu pesante. Poi, come quando arrivai per la prima volta in Italia, la gente, la lingua, era tutto nuovo. Sono andato un po’ in depressione. All’inizio questo non lo sentivo perché con il calcio andava tutto benissimo. Poi, ho avuto la pubalgia per tre mesi e sono iniziati i guai. Nella maggior parte dei casi, le squadre ti danno una seconda occasione, invece lì in due mesi mi hanno licenziato. Parlavo poco inglese, non capii nemmeno molto. Ci rimasi male perché avrebbero dovuto darmi una seconda possibilità. Non era giusto lasciarmi da solo perché il problema era più della persona che del giocatore. Mi hanno licenziato, non mi hanno pagato, mi hanno squalificato come era giusto che fosse e ora sono in attesa di conoscere l’ultima sentenza».
Arriva a Torino a gennaio 2005, ma deve restare fermo fino a maggio per la squalifica inflittagli dalla federazione inglese; trova il tempo comunque, in extremis, di mettere anche la sua firma sulla vittoria in campionato, giocando con autorevolezza, l’ultima e festosa sfida con il Cagliari, al Delle Alpi.
La stagione successiva, da punta o da esterno, vede Mutu ergersi spesso a protagonista. In campo sin dalla trasferta di Empoli, alla seconda giornata, Adrian segna il suo primo goal in campionato a Lecce, ottava di andata, nel rotondo 3-0 a spese dell’undici di Baldini. Si ripete tre giorni dopo, nel turno infrasettimanale contro la Sampdoria e, stavolta, il suo è un goal d’autore, a coronamento di un contropiede magistrale e rapidissimo.
Ancora a segno con il Treviso alla tredicesima, il rumeno ha la sua notte di maggior gloria il 7 gennaio a Palermo; sua la doppietta che stende i rosanero e consegna alla Juventus un fondamentale successo esterno. Ormai, del suo talento la squadra non può più fare a meno ed anche il suo contributo in reti diventa importante; segna a Messina e corona una stagione d’autore il 30 aprile a Siena, finalizzando una delle più belle azioni d’attacco bianconere dell’intero campionato.
«Alla Juventus hanno fatto di tutto, non mi hanno fatto mai sentire escluso. Subito dopo la squalifica, mi hanno fatto esordire, ho vinto uno scudetto giocando solo un pezzo dell’ultima partita e ho anche quasi segnato negli unici trenta minuti di quella stagione. Poi, l’anno dopo, ho giocato una stagione da protagonista: 32 partite, 22 da titolare, 10 goal giocando da centrocampista. Era una Juve fortissima e infatti mi viene da ridere quando dicono che abbiamo rubato. Era come l’Inter di oggi, con qualche giocatore in più. Quegli scudetti li sentiamo nostri. Qualunque giocatore di quella squadra si sente addosso gli scudetti che sono stati revocati».
Nonostante la stagione ampiamente positiva, viene ceduto alla Fiorentina, non senza qualche rimpianto: «Arrivò Calciopoli e non sapevo come comportarmi. Ero a Miami con la mia famiglia, mi chiamò Secco e mi disse che nessuno mi obbligava ad andare via ma c’era la Fiorentina che aveva fatto un’offerta. Considerando che c’era Prandelli e quali erano le ambizioni della Fiorentina, dissi subito di sì. Poi, però, appena arrivai, vidi che anche la Fiorentina era coinvolta nello scandalo, però c’era Prandelli e mi volevano fortemente. Poi, per fortuna ce l’abbiamo fatta a rimanere in A».

 


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