Di Livio a Calcio Gp: "Tifo forte per Antonio Conte, ha fatto la gavetta ed è pronto per la Juve. Calciopoli? Scudetti da restituire. E su Del Piero..."
Fonte: di Mauro Sarrica per "Calcio GP"
Ha sempre preferito i fatti alle parole, Angelo Di Livio. Svolgeva diligentemente il suo compito sulla fascia, sfornava assist al bacio e soprattutto non si fermava mai, un vero e proprio moto perpetuo che trascinava con lui in campo tutta la “sua” gente, «Che mi dava la forza per spingere ancora di più, io li sentivo…». Un feeling davvero particolare, quello con i fans bianconeri, tanto da diventarne subito un “sacro” beniamino, uno di quelli che non ti tradisce mai, un perfetto “Soldatino”. E come ogni buon soldato che rimane fedele alla sua patria, così anche Angelo è rimasto fedele alla “sua” terra tanto da respingere con fermezza ogni attacco “nemico” perché «La Juventus ha sempre vinto sul campo e deve assolutamente riavere gli scudetti, tutti sanno dentro di sé chi era la squadra più forte», senza nascondere, comunque, un pizzico di rabbia e delusione «Per non aver chiuso la carriera in bianconero, mi sono sentito un po’ scaricato…». Parole forti, sentimenti ed emozioni quasi impossibili da raccontare. “Angelino”, però, in esclusiva a Calcio Gp, riesce a farlo, parlando a tutto campo, perfino dei segreti che si celano dentro le stanze dei ritiri, dove come compagno di camera aveva un certo Alessandro Del Piero…
SEI arrivato alla Juve da una provinciale, ma sei subito diventato uno dei leader di quella squadra. Cosa serve per essere apprezzati, soprattutto dai tifosi, in un grande club?
«La prima cosa fondamentale quando arrivi in un grandissimo club come la Juve è l’umiltà. Se non hai quella non vai da nessuna parte. Non basta avere solo una grande tecnica nei piedi per riuscire a vincere perché in campo vince chi ha più voglia, più fame, chi ci mette l’anima e lotta fino all’ultimo secondo. Per il tifoso conta più questo aspetto».
HAI giocato in uno dei team più vincenti di tutti i tempi. Quale aggettivo useresti per definirlo?
«Una delle parole che mi viene subito in mente è “affamata”, una squadra mai doma, sazia, incapace di accontentarsi. Le partite le vincevamo già nel tunnel che portava in campo, bastava guardarci negli occhi per capire quanta voglia di vincere ci fosse dentro di noi…Da lì capivi che per gli avversari non ci sarebbe stata partita. Eravamo un gruppo compatto, unito, sia dentro che fuori dal campo».
C’È una partita che ricordi particolarmente, una di quelle che ancora oggi non riesci proprio a dimenticare?
«Penso che i sei gol rifilati al Milan a San Siro (Milan-Juventus 1-6 06/04/1997 ndr) siano qualcosa di unico, indimenticabile. Abbiamo dato una dimostrazione di forza, di superiorità impressionante. E’ stata la partita perfetta. Ha vinto il gruppo, tutti hanno fatto la differenza. Rappresenta un po’ la sintesi dei nostri memorabili successi».
L’ALLENATORE di quello straordinario squadrone era Marcello Lippi. Tu, comunque, sei stato allenato anche da due altri “mostri sacri” come il Trap e Ancelotti. Chi il migliore tra loro?
«Sarebbe semplice dire Lippi, ma non mi sembra giusto. Ho avuto la fortuna di essere stato allenato da tre grandi maestri. Il Trap è stato quello che mi ha voluto alla Juve, Con Lippi ho raggiunto l’apice della mia carriera e con Ancelotti ho avuto un bel rapporto. Più di così, sinceramente, non potevo chiedere».
DURANTE i ritiri eri compagno di stanza di Alex Del Piero. Si dice che vi sfidavate sempre alla play station e che spesso ti “incazzavi” perché vinceva sempre lui…
«Non è vero che vinceva sempre lui, anche io vincevo…E poi non ci sfidavamo solo alla play station, anche con il game boy… Alex era molto bravo e quando vincevo io si incazzava di brutto. Era, comunque, un bel modo per scaricare la tensione prima di alcune partite importanti».
A proposito di partite importanti, è vero che dopo la famosa vittoria contro il River Plate vi siete tenuti, tu e Alex, la Coppa in camera per tutta la notte?
«Sì. C’era la fila per chi doveva tenersi la Coppa quella notte, allora io e Alex abbiamo detto che spettava a noi perchè il merito della vittoria era nostro, dato che io avevo fatto l’assist da calcio d’angolo e lui ha segnato. All’inizio era stata una semplice battuta, ma poi la Coppa ha dormito veramente con noi…».
POI all’improvviso, nell’estate del ’99, finisce la tua esperienza bianconera, non senza qualche rimpianto e forse rancore. Che è successo?
«Stavo andando in scadenza di contratto e mi era stato promesso che lo avrebbero rinnovato. Poi non è stata mantenuta questa promessa e mi sono sentito un po’ scaricato, in quel momento ci ero rimasto male. Anche perché mi sentivo ancora in grado di far parte della rosa. E me la sarei certamente giocata con Zambrotta e Bachini…Non porto, comunque, rancore verso nessuno, neanche verso Moggi. Quello che è stato detto sono solo falsità. Sono andato così alla Fiorentina, dove nel frattempo era arrivato il Trap che mi voleva a tutti i costi».
PARLIAMO ora della Juve attuale, alle prese con una delle stagioni più disastrose della sua storia. Di chi sono le colpe?
«Da fuori sembra facile parlare e giudicare fallimentare una stagione così deludente, anomala per certi versi. Le colpe non possono essere attribuite ad una sola persona ma vanno divise equamente tra tutti i componenti. Non mi sembra giusto che sia Del Neri il vero capro espiatorio, anche e soprattutto i giocatori hanno le loro responsabilità. In campo non vedo nessuno che dà l’anima, non vedo in loro la voglia di vincere che ha contraddistinto da sempre chi ha fatto parte di una società gloriosa come la Juve. L’unico ad incazzarsi quando perde, e si vede, è solo il capitano, uno che ci mette sempre il cuore e soprattutto la faccia in determinate situazioni. Dovrebbero clonarlo».
UN capitano che ancora non sa se rimarrà al timone della “sua” nave...Anzi lui ha le idee abbastanza chiare, la società forse no…
«Non credo ci saranno problemi per il rinnovo. Tra le parti c’è la volontà comune di proseguire insieme questo percorso, per il bene della Juve e dei suoi tifosi. Alex ha dato e ricevuto tanto da questa società, a breve tutto sarà risolto».
PER quanto riguarda, invece, il prossimo allenatore, considerata ormai chiusa da più parti l’esperienza di Del Neri, chi vorresti alla guida della Signora?
«Io tifo spudoratamente per Antonio Conte. Uno che incarna perfettamente i crismi della juventinità, la persona giusta per ripartire. Lui non vede l’ora di sedersi su quella panchina ma credo che anche i tifosi vorrebbero lui, se potessero scegliere. E’ già pronto, ha fatto tanta gavetta e adesso è giunta l’ora, finalmente, che faccia il grande salto. Lo merita».
QUALI sono, secondo te, i giocatori da cui ripartire e quelli in grado di far compiere a questo gruppo il definitivo salto di qualità? Zidane, ad esempio, ha suggerito di prendere Menez…
«Io riparterei sicuramente da Krasic e Aquilani. Il serbo è un campione vero anche se deve cambiare il suo modo di giocare, ormai lo conoscono tutti, è troppo prevedibile. Ma sono sicuro che migliorerà. Poi si deve riscattare Aquilani, perché è un giocatore fondamentale, detta i tempi e non è facile trovarne uno con le sue stesse caratteristiche. In riferimento a Menez, posso dire che è veramente un fuoriclasse, uno di quelli che con una giocata ti cambiano la partita. Se la Roma è disposta a cederlo, non ci penserei neppure un attimo».
ANGELO, non possiamo non affrontare con te, persona mai banale, lo scottante argomento relativo a Calciopoli. Che idea ti sei fatto?
«Voglio subito mettere in chiaro una cosa. La Juventus ha sempre vinto sul campo, era la squadra più forte e non mi interessa sapere cosa pensano gli altri. Tutti sanno dentro di sé chi era la squadra più forte, è inutile fare giri di parole. Fa benissimo la società a chiedere la restituzione degli scudetti, devono assolutamente essere riconsegnati. I giocatori non c’entrano niente, hanno vinto sempre con grandi sacrifici. E poi da quello che sta emergendo non mi sembra che certe squadre siano state così “oneste”».
HAI avuto la fortuna di conoscere una grande persona come l’Avvocato. Pensi che possa starci un paragone con Andrea Agnelli?
«Sembra assurdo, attualmente, fare un paragone tra i due. Andrea è come un giovane calciatore che cerca di affermarsi in grande squadra, ma ci vuole tempo. I tifosi, però, devono avere fiducia in lui anche se la pazienza è finita. Facciamolo crescere. L’Avvocato era una persona inimitabile, unica. Era molto competente e preciso nei suoi giudizi, quando vincevamo non faceva i complimenti a tutta la squadra, andava addirittura a complimentarsi con ogni giocatore analizzando ogni sua singola giocata. Si vedeva che era un grande conoscitore di calcio».
SEI diventato osservatore nell’Italia di Prandelli. Se arrivasse una chiamata da Torino, magari per un ruolo in società, cosa risponderesti?
«Con enorme piacere. La Juve è sempre la Juve, lì ho lasciato una parte del mio cuore. E’ giusto che in società ci siano veri juventini, quelli che hanno contribuito a scrivere la storia bianconera. Come farei a rifiutare… ».