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Beccantini: "I soliti loghi comuni"

di Redazione TuttoJuve

Il giornalista de La Gazzetta dello Sport e de Il Fatto Quotidiano, Roberto Beccantini, ha esternato il suo pensiero sul nuovo logo della Juventus attraverso il suo profilo facebook. Ecco il suo post dal titolo: "I soliti loghi comuni":

"La gentile Michela mi chiede un parere sul nuovo logo della Juventus. Non lo trovo né bello né brutto: semplicemente, non mi interessa - ha spiegato -. Se mai, non ho capito l’urgenza e la libidine di cambiarlo. Fra stile e stilista c’è le stessa differenza che passa tra polmone e polmonite. Quando ero ragazzo, poi, non si diceva logo: si diceva stemma. La zebra per la Juventus, il biscione per l’Inter, il diavolo per il Milan, il ciuccio per il Napoli e così via. Lo stemma era pelle, come la maglia. Oggi, sono tatuaggi. 
Non cerco, mi creda, riparo nel passato. E neppure ho la presunzione di ricavarne lezioni. Tra parentesi, non appartengo a nessuna Pro Loco (matto, in onore di Marcelo Bielsa) e a nessuna Pro Logo. Ignoro quanto un marchio che succede a un altro marchio possa far crescere la popolarità della squadra e allargarne i confini e le opportunità di mercato. 
Più divertente che utile, non lo è di sicuro. E non ho nemmeno la certezza che sia almeno utile; o più utile che divertente. Viviamo in tempi in cui, se non si lecca l’immagine (o non si lecca, tout court), ogni cosa ci sembra grigia, superata. Con il vecchio stemma una società come la Juventus - ma il discorso vale per tutte - avrebbe faticato di più a conquistare l’Asia? Giro il quesito agli esperti. Per tacere delle maglie - quelle di riserva, in particolare - attorno alle quali è tutto un ribollir di stili e stiletti, colli e colletti. E, naturalmente, quattrini. Anche nel campo della moda sportiva vige sempre il celebre motto del «Gattopardo»: «Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima». Giuseppe Tomasi di Lampedusa non era un loghista ma aveva capito lo spirito del tempio.  Da «fine alla fine» a «così fan tutti» non c’è poi quella distanza che la nostra passione reclama. E, forse, meriterebbe. Dobbiamo abituarci. Siamo tutti «rinati» con il sarto cesareo".

 


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