Sotto la lente - Troppe banane ma zero prospettive...

01.08.2014 00:30 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Troppe banane ma zero prospettive...
TuttoJuve.com
© foto di Daniele Buffa/Image Sport

A tener banco sui media è, prevedibilmente, la bufera  che si è scatenata sul capo di Carlo Tavecchio, che con la sua uscita su Optì Pobà che mangiava le banane ha scoperchiato il vaso di Pandora delle sue malefatte: per esempio sono uscite dai suoi armadi degli scheletri una mezza dozzina di condanne penali passate in giudicato per un totale di oltre un anno di reclusione (e circa 7.000 euro di ammende); per esempio è riaffiorata anche  una sua troglodita battuta sulla donna che 'si pensava fosse handicappata rispetto al maschio per resistenza e altri fattori', altra affermazione che evidenzia che non è questione nemmeno del colore del pelle ma che proprio siamo in presenza di un animus volto a discriminare.
Sappiamo benissimo che le persone 'si scoprono' dei loro vestiti della festa  quando sono 'fuori contesto'. Era già accaduto, ad esempio, con Petrucci, che 'passeggiando' sui parquet del basket aveva svelato la vera genesi di Calciopoli ("Non esiste una Federazione che possa trarre giovamento dal dominio di una sola squadra per molti anni, la gente si allontana"). Il meccanismo che si è messo è in moto è simile: perché, se qualcuno lo avesse intervistato, ad esempio, sui cori razzisti delle curve, avremmo udito il prode Tavecchio prodursi in una sbrodolata zeppa di buoni pensieri umanitari.
A fargli da foglia di fico non sono bastate le sue giustificazioni a posteriori: 'non sono razzista, anzi aiuto i bambini africani', e le condanne non si possono certo gabellare per errori di gioventù, visto che l'ultima risale al 1998, quando il giovanotto aveva già 56 anni.
Un individuo in ogni caso che ha grossi problemi con il modo di comunicare, con espressioni che, oltre a riflettere il suo modo di essere, suonano troppo spesso inopportunamente lesive dell'altrui dignità. Altro esempio? Riferisce Ulivieri, presidente dell'Assoallenenatori: "Basti pensare al titolo del progetto che ci aveva presentato sul calcio femminile: Spogliati e gioca".
Sicuramente un personaggio inadeguato a guidare e rappresentare il calcio italiano.

E non mi voglio nemmeno iscrivere alla corsa Tavecchio-Albertini.
Perché, se Tavecchio rappresenta il vecchio, Albertini, anagrafe a parte, non rappresenta certo il nuovo, visto che discende anche lui dritto dritto dalla Nomenklatura uscente. Albertini sta ad Abete come Abete stava a Carraro. Nulla di nuovo sotto il sole. E, a ben guardare le dichiarazioni di intenti dei due (che poi quello che conta dovrebbe essere il programma), il solo punto di forza di Demetrio Albertini è quello di essere favorevole alle seconde squadre, mentre Tavecchio si erge a baluardo dei campanili, nonostante ormai sia crollata la chiesa.
Quelle seconde squadre che forse eviterebbero il male denunciato da Tavecchio e che l'ha portato a sbroccare indegnamente su Optì Pobà che mangiava le banane: perché è vero che in Italia arrivano molti stranieri (e non solo extracomunitari) di cui i nostri campionati farebbero volentieri a meno, ma non è questione di 'pedigree' (sì, ha detto proprio così...), bensì di capacità di scelta da parte dei dirigenti; i Vampeta, i Pacheco, i Sorondo, i Bartelt, i Domoraud, banane o ostriche che mangiassero, hanno fatto la storia del bidonume del nostro calcio; e per converso sono arrivati i Thuram, i Davids, i Nedved, i Trezeguet, i Van Basten, gli Zidane, i Platini e tanti altri che ci hanno deliziato con le loro giocate. Basta saper scegliere.
Tanto per fare un esempio, la Juve ha fatto benissimo a portare a Torino Paul Pogba (stranamente assonante col mangiabanane tavecchiano) quando ancora non aveva un curriculum (si dice curriculum, Tavecchio, non pedigree; possibile che l'amico Lotito un pochino di latino non sia riuscito a farglielo masticare?); arrivato Optì, è prestissimo diventato Pobà grazie alla sua classe limpida; il vero problema, con la miseria del nostro calcio, sarà tenerlo, per la delizia dei nostri occhi. L'optimum sarebbe non disperdere gli Optì di casa nostra, visto che l'architettura del nostro calcio porta alla dispersione di molti talenti che, dopo il già poco probante torneo 'Primavera', si trovano allo sbaraglio: considerati troppo immaturi per il grande calcio (i nostri club non brillano certo per coraggio nel credere nei giovani), si intristiscono e soffocano nel calcio minore (che quanto a mancanza di coraggio non ha nulla da invidiare alla massima serie) e finiscono per perdersi.
Ripeto, basta saper scegliere.

Anche per la presidenza federale.
Ma possibile che dobbiamo stare a sfogliare la margherita tra Tavecchio e Albertini?
Possibile che le menti illuminate che reggono l'italico pallone (loro che ne hanno la responsabilità, onori ed oneri, non i media o i semplici tifosi) non siano in grado di produrre nomi dietro i quali ci sia una vera competenza, sportiva e manageriale insieme, per far riprendere a camminare il nostro calcio coniugando politica sportiva e campo?
Certo, a giudicare come vanno le cose nella Lega di A, elezione di Beretta, in testa, non c'è davvero da essere ottimisti al riguardo.

Eppure bisogna uscirne, in modo dignitoso. Non solo perché Uefa e Fifa ci guardano, ma perché il nostro calcio, come movimento, deve potersi guardare allo specchio, senza inorridire.
O Lorsignori hanno forse perso anche il senso dell'orrore?
Certo, a giudicare dallo scempio di Calciopoli e da quanto lo ha seguito (commissariamento ad hoc incluso), potrebbe parere di sì.
Forse svegliarsi dopo otto anni è troppo tardi.
Perché il pateracchio di una Nomenklatura che riavvolge continuamente il nastro su se stessa costringendoci tutti ad assistere, in ogni occasione, alla stessa grandguignolesca farsa non promette proprio nulla di buono.
Più dell'incombere dell'uomo delle banane a doverci terrorizzare, noi che amiamo il calcio, è l'assenza di una qualsiasi concreta prospettiva valida per il futuro.