Sotto la lente - Ritrovare la Juve

29.08.2014 01:15 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Ritrovare la Juve
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Adesso le chiacchiere stanno a zero. Idem dicasi per i sogni. Manca pochissimo, questione di ore, e poi sarà il campo a levare la sua voce che non mente e non perdona. E a decretare vincitori e vinti.

Tutti noi speriamo che la Juve si riconfermi in Italia e migliori in Europa (il girone di Champions regalatoci dalle urne non è certo dei peggiori: Atletico Madrid, Olympiacos e Malmoe).
Ma al di là di ciò è fondamentale ritrovare la Juve: la società Juve, con la sua essenza granitica.
In grado di far fronte alle turbolenze che la realtà, pressoché quotidianamente, propone.
Iniziando dalla cerchia più esterna, quella dei tifosi: che mai ho visto divisi come ora. Sarà colpa forse anche della diffusione dei social network che ha allargato le piazze della discussione, ma in troppo casi ho visto animi esagitati, tifosi della stessa maglia che si accapigliano tra loro, con feroce ironia. Il pomo della discordia, inutile ripeterlo, è stato l'addio di Conte, che però è solo il dito, che non deve nascondere la luna.
Perché l'addio di Conte, qualunque ora possa essere la disposizione d'animo verso l'ex tecnico (le infinite nuances tra chi si sente amante tradito e chi invece riconosce che siamo nel campo del professionismo che prevede che ciascuno faccia le proprie scelte) è stato dettato dal venir meno della condivisione su decisioni importanti per i futuri obiettivi della squadra e della società; proprio dalla lunga intervista di Conte alla 'Gazzetta' di ieri si comprende quale fosse l'evoluzione che aveva in testa il tecnico: non tanto un passaggio alla difesa a quattro, ma un 3-4-3, lo stesso che vorrebbe proporre in Nazionale: "Rispetto alla Juve, che sugli esterni aveva un difensore e un centrocampista, mi piacerebbero due esterni che facciano male in attacco e poi, in fase difensiva, chiudersi a quattro con il centrocampista centrale che scala in difesa e i laterali che diventano esterni della mediana a quattro"; ecco i due esterni che facciano male in attacco rappresentano probabilmente la richiesta inesaudita, e non da ora, del tecnico dei tre scudetti: uno poteva essere Cuadrado, che in realtà sarebbe bastato prendere a luglio 2012 alle stesse condizioni cui lo prese la Fiorentina (era un  prestito con diritto di riscatto della metà, poi divenuto comproprietà, la formula preferita da Marotta, che invece andò ad impelagarsi nell'affare Isla, rivelatosi una delusione e un fardello di cui ancora non riusciamo a liberarci, un film troppe volte visto).
Questa era probabilmente la strada maestra che Antonio Conte voleva percorrere per ben figurare (essere tra le prime otto del continente presumibilmente non gli bastava, e questo da parte di più d'uno gli sta attirando l'accusa di megalomania; ma anch'io voglio essere megalomane, a questo punto) anche in Europa; la società ha scelto invece un profilo più dimesso, come testimonia la campagna di mercato.

Fermi restando i diritti della società di scegliere il proprio target (è vero, un tempo esisteva solo 'vincere non è importante, è l'unica cosa che conta', ma un asset deve fare i conti con gli interessi della casa madre, anzi padre-padrone), la Juve che storicamente conosciamo non avrebbe lasciato trascorrere tanto tempo (oltre un anno, dal primo manifestarsi del turbamento contiano) per mettere le cose a posto, fare chiarezza e imporre la propria linea.
E avrebbe saputo muoversi sul mercato con decisione e tempestività, non il balletto tragicomico di questi ultimi giorni alla disperata ricerca di un attaccante che manca: e speriamo che, dopo un'estate di triccheballacche, Marotta non finisca col solito botto alla Bendtner.
Per la cronaca, per il momento lui ieri se l'è cavata così: "In Europa il gap con gli altri club esiste e più passano gli anni e più aumenta".
Ricercare una soluzione al problema sarebbe da Juve, arrendersi con un "preferisco guardare la realtà" senza fare nulla di serio per cambiarla non lo è.
In realtà, quello che manca è un'organizzazione, dove la rotta da seguire e i poteri decisionali siano chiari, come anche chi ci debba mettere la faccia: in troppe occasioni il ruolo è stato, implicitamente e impropriamente, delegato a Conte, ad esempio; è tutta sua è diventata poi la responsabilità del 'divorzio'; come in realtà bisogna riconoscere come sia stato in buona parte suo, e della sua presunta megalomania, il merito della rinascita, fino ai tre scudetti consecutivi. 
Ma la Juve non può riassumersi in un nome, che sia quello di Conte o che sia quello di Del Piero, per non andare troppo indietro; uomini, e grandi uomini, nella Juve ne son sempre passati tanti, ma la Juve è altro, è qualcosa di più.
O, almeno, lo è sempre stata.
Questa società sfilacciata, dove ognuno va per conto suo, dove qualcuno ci mette la faccia e qualcun altro lavora nell'ombra, qualcuno tace in un silenzio di troppo e qualcuno straparla, dove gli sponsors contano più del campo (tanto poi lì si possono sempre schierare le plusvalenze), dove alla fine le responsabilità non sono di nessuno e poi alla fine ricadono tutte e solo su chi è rimasto col cerino in mano (come è accaduto a Conte e come potrà accadere ad Allegri se qualcosa dovesse andare storto), non appartiene alla storia bianconera, è l'ennesimo frutto malato di Calciopoli.
Il primo imperativo per la dirigenza (sulla proprietà ovviamente non si può contare, semmai occorre guardarsene le spalle, visto il 2006), in primis per Andrea Agnelli, dev'essere ora questo: è una sfida estremamente impegnativa, ma indispensabile perché possiamo ritrovare la vera Juve. E perché anche i tifosi tornino ad essere un'anima sola, caldissima e bianconera. Innamorati solo della loro Signora.
Il mondo bianconero deve tornare in ordine.