Carlo Nesti a Radio Vaticana: “Lo sport dopo Parigi”

28.11.2015 22:00 di  Redazione TuttoJuve  Twitter:    vedi letture
Carlo Nesti a Radio Vaticana: “Lo sport dopo Parigi”
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Che ruolo ha lo sport in questo stato di emergenza post-Parigi?

 

“Qui credo sia necessaria la distinzione - dice Carlo Nesti, ad Amedeo Lomonaco della Radio Vaticana Italia, nella rubrica “Non solo sport” del lunedì, alle 12,35 - che spesso viene effettuata proprio in questa rubrica. Lo sport business, con i suoi stadi gremiti, che determinano una grande aggregazione di persone attorno ad una sorta di fede laica, quale può essere definita il tifo, è chiaro che non piace affatto ai terroristi. Loro vogliono colpire proprio i simboli di un certo modo di vivere occidentale. Ma lo sport nei suoi valori di base, e cioè rispetto dell’avversario, rispetto delle regole, e spirito di squadra, che non tiene conto delle differenze di qualsiasi tipo, dal colore della pelle alla religione, è chiaro che è uno dei massimi esempi di convivenza civile e democratica. In Italia, è in programma uno stanziamento di 100 milioni di Euro, per costruire impianti sportivi nelle periferie. Perché? Perché è evidente che togliere i ragazzi dalla strada, e consegnarli allo sport, significa, da una parte, consentire loro di esprimere in modo salutare l’aggressività, e dall’altra educarli ad una disciplina, che prevede l’allenamento della volontà, lo spirito di sacrificio, e la capacità di saper perdere. Se sono state sospese Belgio–Spagna e Germania-Olanda, e se è stato fermato il campionato belga, è perché sono arrivati segnali inequivocabili di allarme, e certamente non perché lo sport si debba piegare, dinanzi al terrorismo”.

 

 

In tutti gli stadi italiani, è stata suonata la “Marsigliese”.

 

“Tenendo conto che c’è sempre stata una grande rivalità sportiva fra Italia e Francia, è stato bellissimo sentire suonare, ed anche cantare, senza fischi, la “Marsigliese”. Significa che la cultura dello sport, se vengono interpretati i suoi valori più educativi, diventa una ricchezza per tutti. Italiani e francesi avversari, e mai nemici, finché si è in campo, ma assolutamente amici e fratelli, dinanzi ad una lotta come questa. Lo sport, infatti, divide solo per la durata di una partita, e per il resto unisce in una grande festa, che deve restare festa, lontano anche dai suoi fantasmi interni, costituiti dal teppismo di matrice ultras. Mi spiace solo per quanto avvenuto a Verona, ma poteva accadere anche altrove. Non ha senso, prima, essere tutti uniti nel cantare l’inno francese, come espressione dell’abbattimento di qualsiasi confine fra noi europei, e poi, fischiare Insigne, o invocare, vergognosamente, il Vesuvio, come se esistesse, invece, un confine fra Napoli e il resto d’Italia. Equivale ad aprire la bocca, senza azionare il cervello, e il cuore, sdoppiarsi, e diventare ridicoli nella propria incoerenza. Per fortuna, è stato solo un caso isolato, ma insegna ancora una volta come l’innalzamento dei toni, nel calcio italiano, generi delle abitudini mostruose da cancellare”.

 

 

Perché, in Turchia, il minuto di silenzio è stato fischiato?

 

“Il caso dei fischi, durante il minuto di silenzio per le vittime di Parigi, prima di Turchia-Grecia, rende necessaria una riflessione, senza, per carità, alimentare la caccia alle streghe. E’ il grande pericolo di quando accade qualcosa di grave, e si crede di vedere, dappertutto, i padri e i figli del terrorismo. Già nella sera dell’11 settembre 2001, dopo il crollo delle torri gemelle a Newx York, accadde qualcosa di brutto, a Istanbul, prima di Galatasaray-Lazio di Champions League. Sassi contro i giornalisti italiani, che arrivavano in pullman, e fischi e cori contro gli Stati Uniti, durante il minuto di silenzio per le vittime. La verità è che la Turchia, avamposto dell’Occidente, nel fronte in espansione della Nato, deve ancora risolvere problemi interni. Politici e militari turchi hanno una posizione più chiara, contro il terrorismo islamico, rispetto ad una parte della popolazione, che non è del tutto convinta di dovere scavare un baratro fra musulmani moderati e musulmani violenti. Ed è proprio questa, anche altrove, una delle chiavi di volta della situazione. E’ indispensabile, mai come ora, senza alcun doppio gioco, la collaborazione dei musulmani moderati, persone spesso migliori di noi nella loro spiritualità, per denunciare ed espellere elementi pericolosi, per loro stessi e per l’umanità”.       

 

 

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