Sotto la lente - Calciopoli, una ferita che non cicatrizzerà mai

31.10.2014 02:15 di Carmen Vanetti Twitter:    vedi letture
Sotto la lente -  Calciopoli, una ferita che non cicatrizzerà mai
TuttoJuve.com

“Chiamare Calciopoli un episodio mi pare pazzesco: alla Juve sono stati tolti due scudetti, mandati in serie B, distrutta una squadra, la squadra dei campioni del Mondo nella finale del 2006, tra Italia e Francia, tra campo e panchina, allenatore compreso, ce n’erano 14. Che questa squadra sia stata distrutta non è un episodio.
Non è stato un episodio, c’è una squadra che è stata al centro del campionato, della storia del calcio, delle vittorie italiane del campionato del mondo, che è stata umiliata.
Il pm sportivo ha detto che anche l’Inter aveva fatto le sue telefonate e i suoi approcci ed era punibile, ma era caduta in prescrizione. Perché non rinunciate alla prescrizione?
Il protagonista, Facchetti, non telefonava a nome della sua famiglia, ma della società di cui era un dipendente. La prescrizione non era dovuta al fatto che Giacinto Facchetti fosse in Paradiso, ma al fatto che era trascorso un certo numero di anni.
Questo non cicatrizza la ferita, l’umiliazione, l’offesa. No, non cicatrizza, no”.

Parole e musica di Giampiero Mughini, voce bianconera a TikiTaka, accerchiata dalla muta dello anti-Juventinismo, vero oppio dei popoli.

Ecco, questa è una grande ineluttabile verità: Calciopoli è una ferita che non cicatrizzerà mai. Qualsiasi cosa accada.
Quello che è stato fatto alla Juventus, oltre che a tante persone, oltre che alla quella Giustizia, a quella Lealtà e a quell’Etica con cui in tanti si sono verniciati la bocca, mentre le loro coscienze si sporcavano sempre più.
Due scudetti rubati, uno squadrone fatto a pezzi, una dirigenza modello di efficienza e di competenza sottratta alla Juve e al calcio italiano, che anch’esso ne sta pagando le conseguenze: ma di questo non riesco a dolermi, ha preferito affidare le sue sorti ai banditi di giraudiana memoria e adesso i piantini greci non riescono a commuovere nemmeno un po’ chi ha pagato un prezzo tanto alto e tanto ingiusto, mentre chi davvero aveva commesso illeciti è rimasto a gozzovigliare all’ombra dei compagni di merende.

Il processo di Napoli abbiamo visto tutti come si è svolto (le udienze su Radio Radicale sono ancora lì a disposizione dei distratti); una condanna su non prove (telefonate ‘immaginate’ con molta fantasia più che con olio di gomito, su schede estere intercettabili ma non più intercettate perché non stavano raccontando quanto si desiderava), su sensazioni, su video taroccati.
Giusto oggi a Roma il gip Di Grazia dovrà decidere se rinviare o meno a giudizio il pm Narducci e il maresciallo Ziino per la sparizione del video del sorteggio del 13 maggio 2005 (prelevato dalla Procura di Napoli e reso irreperibile per le difese e la Corte) e la sua sostituzione con una serie di fotogrammi in ordine grossolanamente alterato, in modo da giustificare la tesi del sorteggio taroccato.  Ne sortirebbe un processo all’indagine, che di buchi ne ha più del groviera; ma se la sentiranno? Se così non fosse i cattivi pensieri non potrebbero che aumentare, tanto numerose ed evidenti sono le magagne  dell’intera investigazione.

Certo è che, con l’approssimarsi dell’Appello, qualche pezzo da novanta comincia a farsi avanti a cercare di mettere una pezza a colore ad uno dei peggiori pasticciacci della giustizia italiana (ordinaria e domestica): ecco rifarsi vivo il procuratore capo di Napoli Giandomenico Lepore, mosso dal nobile intento di vendere qualche copia del suo libro sui problemi della giustizia italiana: ‘Chiamatela pure giustizia, se vi pare’: un titolo che, senza volerlo, fotografa il paradosso di Calciopoli, che tutto pare fuorché giustizia; sì, perché nei Tribunali della Repubblica campeggia la scritta ‘La legge è uguale per tutti’, ma nella realtà è più uguale per alcuni e meno per altri; si badò solo a correr dietro ai misfatti di Moggi, disse la Casoria (che peraltro al dott. Lepore non piaceva proprio, tanto da chiederne, insieme al fido Narducci e al di lui collega Capuano, la ricusazione al processo di Napoli); l’Inter non interessava, disse Auricchio, ma il redivivo Lepore, in un’intervista a Telelombardia se ne è uscito con un “Calciopoli è stata una bella inchiesta, purtroppo boicottata dalla fuga di notizie. Secondo alcuni alimentata dagli stessi magistrati, ma io lo escludo categoricamente, perché soprattutto quando ancora siamo nelle fasi di indagini la fuga pregiudica le indagini stesse. Noi abbiamo accertato le responsabilità penali di una squadra di Serie A e stavamo arrivando a un'altra squadra milanese... E, tolta il Milan, resta l'Inter no? Però molti verbali vennero rubati e pubblicati in un vero e proprio volumetto e questo rovinò l'indagine. La Juventus fu la prima della quale accertammo delle responsabilità, ma gli imbrogli non erano solo della Juventus. E c'era anche un importante giro di soldi”.

Una mostruosa arrampicata sui vetri: peccato che sui vetri si scivoli e gli scivoloni non mancano. Già perché nella prima fuga di notizie l’Inter era la grande assente. Perché? Perché non interessava, fu risposto nella tana di Auricchio in via In Selci all’assistente Coppola che voleva portare il suo contributo alla giustizia raccontando che anche  “l’Inter… sì…. c’entrava”; ma se gli avessero dato retta come avrebbe potuto Narducci proclamare in aula a gran voce “Piaccia o non piaccia agli imputati non ci sono mai telefonate tra Bergamo o Pairetto con il signor Moratti”, perché c’erano eccome,  accidenti se c’erano, e avevano pure i tre baffi rossi, ma ‘qualcosa sarà sfuggito….’, eh già, era sfuggita la giustizia, era sfuggita l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, vi pare poco?

E anche per quanto riguarda la fuga di notizie le ombre su via In Selci non sono poche, né è bastato a far completa luce sulla vicenda un processo svoltosi a Roma che metteva nel mirino il contrasto tra il tenente colonnello Arcangioli e il maggiore Auricchio che si ostinò a voler portare avanti Calciopoli, nonostante il parere contrario del suo superiore; in quella Roma in cui si aggirava Franco Baldini, che aveva come unica aspirazione quella di fare il Ribaltone, di buttar giù tutti a ruzzoloni; la prima a ruzzolare sarebbe stata la giustizia.
E poi i soldi: strano scandalo quello di Calciopoli, per il quale, nell’Italia delle mazzette, non è girato un euro.
Infine una puntualizzazione lessicale: le responsabilità della Juventus furono semplicemente ‘ipotizzate’ (sappiamo che la fantasia non faceva difetto agli inquirenti), il tribunale che avrebbe dovuto ‘accertarle’ le ha escluse; le parole sono importanti e un magistrato dovrebbe saperlo.

Quanto a Facchetti - e ricordiamo che il 5 novembre si terrà a Milano la terza udienza del procedimento per la querela intentata a Moggi da Gianfelice Facchetti per talune dichiarazioni dell’ex dg., e sarà un piccolo ripasso di Calciopoli - come ben dice Mughini, ad essere chiamata in causa dalle vicende del Grande Imbroglio (come efficacemente lo definì l’avv. Prioreschi) del 2006, non è la persona di Giacinto Facchetti, che purtroppo non è più di questo mondo, ma le azioni compiute in nome e per conto della società per cui lavorava e che hanno procurato alla stessa illeciti vantaggi, come evidenziato nel documento del procuratore federale Stefano Palazzi; l’Inter, invece di farsi scudo della scomparsa del suo ex presidente, aveva tutte le possibilità per dimostrare l’infondatezza delle accuse e por fine ad ogni sospetto rinunciando alla prescrizione. Non lo fece, probabilmente  perché quanto dissepolto dalla pazienza certosina di Nicola Penta per conto di Moggi lasciava ben poco scampo a scappatoie e fantasie. Addio scudetto 2006 e trofei susseguenti.  

C’è tutto un calcio che si definisce pulito, e che è più sporco di prima perché  alle patacche del passato ha aggiunto la lurida macchia di Calciopoli, che ha costruito le sue ancorché precarie (vista la situazione del nostro calcio, sia a livello sportivo che finanziario) su un’aggressione premeditata (perché Calciopoli affonda le sue radici in anni ben precedenti al 2006) e concertata (si dovette però attendere la morte di Umberto Agnelli per imprimere una decisa accelerata al tutto) alla Juventus.
Questo è qualcosa che i cuori dei tifosi bianconeri non potranno mai rimuovere, tormento e rabbia che si rinnovano giorno dopo giorno. Una ferita su cui l’affermarsi prepotente della verità da una parte e le assurde e paradossali negazioni della stessa dall’altre non fanno che gettare altro sale.
No, questa ferita non cicatrizzerà mai.