Gli eroi in bianconero: Zbigniew BONIEK

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
03.03.2015 07:45 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Zbigniew BONIEK
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

È stato un giocatore importante nella Juventus stellare; tre anni di vittorie, in rapida successione: Coppa Italia e Mundialito Club, scudetto e Coppa delle Coppe, Supercoppa e Coppa dei Campioni. Il feeling con la Juventus nasce a Buenos Aires nel 1979, quando Enzo Bearzot convoca il polacco nel Resto del Mondo, al posto dell’infortunato Bettega e di Rummenigge e Blochin, che avevano rinunciato, perché impegnati con le rispettive Nazionali. C’è anche Michel Platini ed, alloggiati nella stessa camera, non possono certo immaginare che un giorno sarebbero stati compagni di squadra. Boniek, con una ottima prestazione, non tradisce la fiducia del Commissario Tecnico azzurro, responsabile della rappresentativa mondiale che batte 2-1 l’Argentina “campeon” rinforzata dall’astro nascente Diego Maradona. Boniek entusiasma Tardelli, Cabrini, Causio, i tre juventini della formazione, con Rossi, bianconero in pectore e Giampiero Boniperti che lo vede in TV. «Sei fatto per la Juventus», gli dicono. Glielo ripete anche Gigi Peronace, il compianto “public relations man” della Nazionale italiana. Boniek se ne convince, tanto da rimanere deluso quando la Juventus gli preferisce Liam Brady.
Zibì, approda a Torino due anni dopo, con Platini che lo segue a ruota; insieme vincono tutto, o quasi. Per entrambi, però, i primi tempi sono difficili e l’amicizia, nata a Buenos Aires, si cementa fra i due, così diversi come carattere, ma complementari l’uno dell’altro, sul campo. Genio e sregolatezza si fondono sia in campo che nella vita privata, dove si frequentano spesso, quasi a proteggersi vicendevolmente. Un’intesa, una complicità, un’amicizia destinate a durare nel tempo, oltre la Juventus. In coppia regalano a se stessi, ai tifosi ed alla Juventus, una serie di trionfi storici.
«Giocare nel vostro campionato è l’esperienza più appassionante della mia vita. Mi figuravo molte difficoltà, ma lo sto trovando terribilmente difficile. Però, tutto ciò mi stuzzica, mentre mi esalta il giocare nella Juventus, cioè in una squadra di statura mondiale. Ho attraversato dei momenti in cui mi pareva di aver perso qualcosa, come il fatto di non essere più il numero incontrastato, come succedeva in Polonia, sia nella squadra di club che in Nazionale. Vorrei sempre vincere, ma ci sono anche gli avversari che, in Italia, non mollano nemmeno un metro di prato, davanti a te».
Boniek è, soprattutto, l’uomo di Coppa. «Quello che gioca bene di notte», disse l’Avvocato Gianni Agnelli presentandolo a Henry Kissinger. Esprime il meglio di sé nelle competizioni internazionali, dove, con marcamenti meno asfissianti, le qualità di Boniek esplodono: scatto, prontezza di riflessi, potenza, classe, insomma è spesso irresistibile. Se Platini è Le Roi del Goal per come li realizza o li confeziona per i compagni, Boniek è un formidabile contropiedista, tanto che Maradona lo definisce il migliore al mondo, nel suo genere. In campionato, invece, Zibì fatica ad essere protagonista; nel primo anno juventino, Boniek è relegato sulla fascia destra e la manovra ne risente parecchio. Basta, infatti, che gli avversari stiano attenti a Cabrini sulla sinistra e la palla si infila in un imbuto, facilmente controllabile; per qualche partita, complice un lieve infortunio di Tardelli, il Trap accarezza l'idea, purtroppo irrealizzabile, di far coesistere Marocchino come tornante destro con Platini e Boniek mezzali, Rossi e Bettega in attacco. L’inghippo è felicemente risolto riportando Tardelli ad esterno destro, mettendo in mezzo Bonini al servizio, letteralmente, di Zibi e Michel, con Rossi e Bettega davanti. Ma il polacco è troppo anarchico tatticamente, troppo discontinuo nell'arco della stessa partita per fare il trequartista. Tutti i dotti ricordano il numero migliore: lancio di Michel e volata di Zibì, ma non sempre questo schema è possibile, nonostante l'innegabile valore di entrambi.
È devastante, invece, l'anno dopo quando, riconosciuta l'inadeguatezza di Penzo ad alti livelli, gioca Beniamino Vignola e Zibì può giocare da punta atipica, libero di correre secondo il proprio genio. Il terzo anno, arriva Briaschi che ruba spazio a Vignola e costringe Zibì a tornare in quella posizione ibrida di mezza punta che non gli si confaceva proprio. In definitiva: in un campionato evoluto tatticamente come quello italiano Boniek non poteva fare il rifinitore, per limiti tattici e di continuità evidenti. Privato del suo numero migliore, che necessita di grandi spazi, diventa, quasi, uno qualunque.
Nessuno in Polonia ha vinto quanto Boniek, che ha oscurato perfino la fama di Kazimierz Deyna, l’eroe della Coppa del Mondo di Monaco 1974 con lo storico terzo posto, poi eguagliato nel 1982. Nei mondiali spagnoli, già acquistato dalla Juventus per oltre 3 miliardi di Lire, Boniek tocca livelli incredibili contro il Belgio segnando 3 goal ed incantando la raffinata platea del Nou Camp di Barcellona. L’unico rimpianto di quella magnifica avventura, è la squalifica che gli impedisce di affrontare l’Italia in semifinale. Gli azzurri vanno a Madrid dove si laureano campioni del mondo, Boniek si consola battendo la Francia, priva di Platini, per il terzo posto.
Lui e Michel, insieme ai campioni del Mondo Zoff, Cabrini, Scirea, Tardelli, Gentile e Rossi, non bastano per dare alla Juventus scudetto e Coppa dei Campioni. Secondi, dietro la Roma in campionato, battuti nella finalissima di Atene dall’Amburgo di Magath. Ma sulla rabbia di quei traguardi falliti di un soffio, Boniek ed i suoi compagni costruiscono le loro rivincite.
Intelligente, colto (ha il diploma di insegnante di educazione), estroverso, il Boniek giocatore lascia una traccia indelebile nel cuore dei tifosi juventini. “Boniek forever” era scritto su uno striscione. Il polacco spera che la Juventus lo convinca a firmare il contratto, ma Boniperti, avendo grande stima del giovane asso danese Michael Laudrup, non può offrirgli quanto la Roma e Zibì si trasferisce nella capitale.
«Boniek ha tutt’altro talento rispetto a Platini», ricorda Caroli, «meno riflessivo e più armonioso, più ponte e meno disciplinato tatticamente. Aveva la spavalda capacità di trascinare la Juventus con il sostegno dell’esplosività dei muscoli e del temperamento. Non è ardito sostenere che buona dei match di Coppa della Juventus li abbia risolti lui. Adatto più alla zona che al marcamento all’uomo, si esaltava soprattutto nel contropiede, nelle galoppate fra le due corsie laterali con analoga efficacia. Faceva goal spettacolari e preparava assist importanti, da cui avrebbe tratto profitto soprattutto Platini. Zibì è delizioso, estroverso, tutt’altro che timido. È nato per farsi benvolere e per parlare. Difficilmente è di cattivo umore, il cielo azzurro d’Italia lo ha reso più loquace. Ed è molto corporativista. Un giorno a Villar Perosa, durante il ritiro di agosto, prese le difese di Paolo Rossi, contestato dal pubblico. Boniek entrò nel cuore dei tifosi più di quanto abbia fatto Platini. Michel e Zibì, diversi come giocatori e come uomini, ma grandi amici. Giocavano a carte, scherzavano su ogni argomento, si trovavano spesso nelle rispettive case, nel torpore riposante delle famiglie ed erano in sintonia su molti problemi esistenziali».
Smesso di giocare, intraprende, con risultati pessimi, la carriera di allenatore, prima di diventare opinionista, dove, purtroppo, comincia a spargere veleno sulla Juventus, non perdendo occasione per accusarla e criticarla, attirandosi, inevitabilmente, tutta la rabbia dei tifosi juventini.