Gli eroi in bianconero: Lucidio SENTIMENTI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
01.07.2016 10:20 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Lucidio SENTIMENTI
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Detto Cochi, nasce nell’estate del 1920 a Bomporto, in provincia di Modena, in una famiglia che eguagliava i fasti calcistici di un’altra mitica dinastia, quella dei Cevenini. Tutto cominciò, si dice, con una lettera: «Ho quasi quindici anni, faccio il garzone calzolaio a quindici lire la settimana, vorrei giocare. Va bene qualsiasi ruolo. Anche portiere». Lucidio è tifoso della Juventus e grande ammiratore di Combi; vanta qualità atletiche per riuscire bene in qualsiasi ruolo, un bel tiro, anche se la statura non è eccezionale, ma, a quei tempi, nessuno ci faceva troppo caso. Così si trova nel Modena, in Serie B, a solo sedici anni, senza un ruolo ben definito, a volte portiere altre attaccante. Sbalordisce tutti: in due stagioni segna ventidue goal, risultando uno dei migliori cannonieri della squadra.
La Juventus è alla ricerca di un portiere affidabile; nell’ultimo campionato, quello del 1941, si sono alternati in cinque, un vero record: Goffi e Peruchetti, Ceresoli e Micheloni e, per una sola domenica, un certo Bulgheri, mai più visto né sentito. Cochi aveva già disputato circa cinquanta partite in Serie A quando debuttò nella Juventus, a Venezia: i terzini sono Foni e Varglien II, gioca anche suo fratello, Vittorio, ovvero Sentimenti III, arrivato alla Juventus un anno prima. Dopo aver subito cinque goal in un derby, è messo da parte ma qualche domenica dopo è ripresentato in mezzo ai pali che non lascia più per altre quattro stagioni.
Conquista anche la maglia azzurra e, nel maggio 1947, contro l’Ungheria è l’unico giocatore “straniero” in una formazione composta da dieci giocatori del Grande Torino. Gianni Brera lo descrive freddissimo determinista, dotato di un’astuzia luciferina.
Il suo gesto atletico più famoso è rimasto l’uscita, a piedi uniti, un intervento che sembra disperato e invece è calcolato al millesimo e, secondo alcuni, al limite del lecito. Molto abile anche sulle palle alte: stupisce vederlo arrivare lassù, con tanta sicurezza, a bloccare o spingere lontano il pallone con pugni decisi, nonostante la bassa statura. Tra i pali è agile e dotato di presa ferrea, non ha bisogno di volare, ha un grande senso della posizione e un notevole colpo d’occhio. Qualche volta se ne fida troppo e prende goal balordi su tiri da lontano.
Cochi Sentimenti difende la rete juventina durante quei campionati resi proibitivi dal dominio del Grande Torino. Nel 1949, a ventinove anni, è ceduto alla Lazio, dove ritrova una seconda giovinezza. Riconquista anche il posto in Nazionale e ha l’onore di disputare la sua ultima partita nel 1953, contro la Grande Ungheria. Si mette perfino a parare rigori, cosa che prima non gli riusciva mai, come se una legge non scritta lo volesse punire per la sicurezza che aveva nel tirarli. Diventa uno specialista, quasi al pari del mitico Bepi Moro e, nel febbraio 1954 proprio su un rigore ottiene una piccola rivincita nei confronti della Juventus: a Torino, infatti, para un tiro di Boniperti dal dischetto, facendo finire la partita 0-0. La Juventus perde proprio per un punto quel campionato, a favore dell’Inter.
Gioca fino a trentanove anni, chiudendo la carriera con il Vicenza, senza vincere mai niente: nonostante avesse già appeso gli scarpini al chiodo, torna in campo per difendere la rete del Torino che, in piena zona retrocessione, si trova di colpo senza portieri.
Un giorno gli chiesero quale fosse stato il goal che gli avesse provocato più dolore: disse che molti anni prima, quando era ancora al Modena in Serie A, gli era capitato di tirare un rigore contro suo fratello più grande, Arnaldo Sentimenti II, portiere del Napoli, realizzandolo. Ecco, quello era stato il goal che gli aveva fatto più dispiacere.
«Ecco un bel ricordo. 1946, a Torino: Juventus-Bologna. Ha vinto la Juventus per 1-0. A un certo momento Gritti, del Bologna, in posizione di ala sinistra, mi fa un tiro violentissimo, io sono piazzato sul palo giusto ma Parola interviene e mi fa la carambola con la coscia, poveraccio lui ha fatto il possibile per salvarmi. Così io mi trovo improvvisamente sul palo sbagliato, un po’ fuori porta, con la palla che mi va dentro nel sette più lontano, alle spalle. Balzo indietro stringendo i denti e chiudendo gli occhi, mi distendo quanto sono lungo, do la manata e, quando credo di esser fregato, incontro qualcosa. Dico: sarà un giocatore. Cado a terra, sento un urlo, apro gli occhi e vedo il pallone che è andato in corner: io l’avevo portato via dal sette, l’urlo l’avevano fatto per questo. Hanno fatto anche una bella fotografia, che conservo. Eh sì; mi sentivo forte, mi sentivo come un leone, ero padrone dei miei pali e della mia area, avevo un rinvio lungo e preciso e non avevo paura di uscire. Mi buttavo giù con i piedi, mai di faccia o di braccia, perché con i piedi si arriva prima e difatti precedevo un sacco di attaccanti proprio per questo. E non ho mai avuto incidenti anche per questo».
Il portiere che tirava i rigori: era il primo, forse, e tutti si meravigliavano. In seguito avrebbe avuto ottimi imitatori, ma nessuno è riuscito a giocare in modo non saltuario e in una vera partita di campionato, con la maglia di attaccante.