Gli eroi in bianconero: Angelo ALESSIO

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
29.04.2017 10:30 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Angelo ALESSIO
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© foto di Federico De Luca

Attraversa tutta la fase buia della storia della Juventus, a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, riuscendo però a essere apprezzato da tutti gli allenatori che ha incontrato. Comincia con Marchesi, per poi proseguire con Zoff, Maifredi e Trapattoni. Nasce in provincia di Salerno, il 29 aprile del 1965: «Ricordo con affetto e un pizzico di nostalgia gli abitanti di Pæstum, il luogo natale a pochi chilometri da Salerno, che mi sono sempre stati vicini con immenso calore. La stessa cordialità e disponibilità mi è stata offerta da Avellino; anche nel capoluogo irpino ho avuto modo di apprezzare lo sforzo della gente per alleviare il vuoto lasciato dalla lontananza, nel mio caso relativa, della famiglia. A questo proposito voglio sottolineare come sia vantaggioso l’essere vicino casa per un ragazzo che svolge la professione di calciatore, la tranquillità che solo l’atmosfera famigliare riesce a dare è determinante per riuscire ad affermarsi».
I primi passi: «Non ricordo con precisione la circostanza che mi ha fatto conoscere questo sport; sin da bambino, infatti, guardavo con entusiasmo le partite di pallone alla televisione e apprezzavo in maniera particolare Gigi Riva. Perciò per imitare il mio campione mi dilettavo prima con i miei fratelli, e poi nella squadretta del paese; fino ad arrivare, dopo diversi anni di gavetta, al palcoscenico più ambito da un calciatore: la Serie A. Nel mio trascorso calcistico c’è un uomo a cui devo tutto; un personaggio che, nonostante una menomazione fisica, ha saputo infondermi la voglia e il coraggio di tentare per arrivare fino in vetta. E oggi che ho raggiunto l’apoteosi del calcio non posso che ricordare Salvatore Apadula con grande affetto e gratitudine».
Da Avellino a Torino: «Nella sfera personale non ho avvertito alcun mutamento sostanziale; credo di essere riuscito a mantenere intatto il mio carattere, nonostante alcune circostanze avessero un potenziale in grado di turbare il mio modo di vivere. In relazione all’attività lavorativa, invece, ho riscontrato una diversa mole di responsabilità; infatti, in Campania si lottava per non retrocedere, per cui il dovere di ogni calciatore si esauriva nel momento che si realizzava la salvezza della squadra. Nella Juventus gli obiettivi da raggiungere sono molteplici, quindi la tensione agonistica è un fattore costante nell’intero arco della stagione».
L’impatto con la Juventus: «Negli anni passati avevo avuto modo di sentir parlare di stile Juventus, ma poiché la mia conoscenza era occasionale e superficiale ero piuttosto scettico su ciò che si asseriva negli ambienti calcistici. Oggi le circostanze mi hanno portato proprio alla squadra zebrata e non posso che dare atto a quanto si sosteneva; infatti, la grandezza della Juventus deriva proprio dalla sua abilità di curare ogni dettaglio nei minimi particolari, nulla viene tralasciato. Quindi è comprensibile il perché di tanti successi: alle spalle di una rosa di campioni, c’è un organico che sa programmare con parsimoniosa cura ogni più piccola contingenza».
I primi timori: «Di primo acchito mi ha assalito la paura di non riuscire a reggere il paragone con giocatori dal calibro di Cabrini e Scirea, due atleti con un bagaglio di esperienze da far impallidire chiunque. Fortunatamente la sensazione suddetta è svanita in modo fulmineo non appena ho avuto la possibilità di conoscere i compagni, ragazzi eccezionali che mi hanno accolto con entusiasmo».
La posizione in campo: «Ad Avellino svolgevo il compito di seconda punta; a Torino, per ora, ho riscoperto diverse mansioni, ma ciò non mi crea dei turbamenti in quanto nel calcio conta poter esprimere le proprie capacità. Inoltre il mio gioco è piuttosto duttile, per cui non ho avuto difficoltà di adattamento; in seguito avrò modo di trovare una collocazione definitiva».
La panchina: «Nel momento in cui ho firmato il contratto con la Juventus ero consapevole del compito marginale che avrei dovuto recitare nella squadra. Ero a conoscenza del fatto che sarei dovuto andare in panchina per essere utilizzato solo nel momento in cui le circostanze lo rendevano necessario. Inoltre l’infortunio di un collega non è mai la condizione più idonea per conquistare uno spazio in squadra, anche se i complimenti che mi sono stati rivolti mi lusingano: Ora ha recuperato per cui, se io dovessi ritornare tra le riserve, non farei alcuna opposizione».
L’amore per il calcio: «Per il sottoscritto il gioco del pallone esorbita dal significato originario di divertimento e salute. La disciplina sportiva ha assunto le dimensioni di un lavoro, perciò non posso che rispettare l’ambiente per quante soddisfazioni riesce a offrirmi e per il compenso materiale che scaturisce dalla mia professione».
I tifosi bianconeri: «Non concordo pienamente con quanto viene attribuito al pubblico della Juventus, infatti, penso che l’appellativo suddetto scaturisca da un senso di superiorità che è tipico di coloro che conoscono il sapore della vittoria con una certa consuetudine. Inoltre non bisogna confondere il silenzio con l’indifferenza: mai la squadra è stata abbandonata dai suoi sostenitori, e la testimonianza deriva proprio dalla presenza massiccia di folla negli stadi ogni qual volta si esibiscono i giocatori zebrati. Quindi tutto ciò è un segnale tangibile di affetto della gente nei nostri confronti; il desiderio di acclamare è poi un fattore soggettivo che nasce dalla smania di una persona di dar sfogo o meno ai suoi sentimenti».
Le responsabilità: «Provengo da una famiglia numerosa, per cui ho dovuto affrontare i problemi della vita con un certo margine di anticipo rispetto gli altri bambini; in seguito il calcio ha definitivamente levigato il mio carattere, creandomi una personalità quando ancora molti miei coscritti erano assolti da ogni compito gravoso».
Grazie alla sua duttilità e alla predisposizione a giocare in qualsiasi zona del campo, Angelo rimane alla Juventus dal 1987 al 1992, salvo una piccola parentesi a Bologna, riuscendo a totalizzare 139 presenze e ventuno goal, conditi con la conquista della Coppa Uefa e della Coppa Italia. «Un calciatore fa i bilanci. La Juve è una grande società. Potevo restare, ero sotto contratto. Però in certi casi prevalgono altre considerazioni: vivacchiare o trovare altrove motivazioni più serie? L’offerta del Bari mi fece uscire dal tunnel: città importante, società con voglia di riemergere, possibilità per me di non fare la comparsa e, ancora, avvicinamento a casa. Quest’ultimo particolare non è trascurabile: gli affetti sono una cosa seria. La Juve? Un’esperienza importante. La stagione più bella? Quella con Zoff. Arrivammo anche terzi in campionato. Zoff mi è rimasto nel cuore, è un grande allenatore. Non parla? E un freddo? Non comunica? Tutte balle. Semmai parla poco. È uno di quegli uomini che non si sprecano in chiacchiere. Dice le cose giuste, essenziali. Quando lo conosci a fondo, apprezzi l’uomo. Un uomo severo, ma profondamente buono».